Quattro Giorni Catechisti 2008

Si tratta degli appunti presi durante gli incontri della Quattro Giorni Catechisti 2008; pertanto, se ci fosse qualche imprecisione o qualcosa che pare strano, non bisogna prendersela con i relatori ma al limite con chi ha preso gli appunti.

Il terzo incontro, quello di don Emilio Rimoldi, va integrato con il libretto distribuito in quell'occasione per alcune parti. Appena avrò tempo vedrò di riportare quanto necessario.

Per visualizzare correttamente le due parole (anche se in realtà è sempre la stessa) scritte in greco potrebbe essere necessario installare sul proprio Pc il font Greek, scaricabile da qui.

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Il Mistero della Parola di Dio e l'educazione alla fede dei ragazzi

Il mistero della Parola di Dio e l’educazione alla fede dei ragazzi

di mons. Severino Pagani

Premesse

Il punto di partenza è interrogarsi sulla figura del catechista: chi sono io in questo momento della vita? Perché sono qui? Che cosa mi sta più a cuore? Qual è la conversione che mi viene richiesta? Che cosa c'entra "fare catechismo" con la mia fede, con la mia vita?

Si annuncia innanzitutto quello che si è: fare catechismo non è un compito di insegnamento. Si tratta di comunicare un passaggio segreto a questi ragazzi perché scoprano qualcosa del Regno di Dio. Occorre essere una figura spirituale.

Il secondo punto è la Parola di Dio, che è più della Bibbia: è tutto ciò che è partito dal cuore di Dio per rivelarsi nel mondo, e Dio parla in tanti modi. C'è bisogno della capacità di vedere come ancora oggi la Parola, la persona di Gesù si fa storia. Devo chiedermi: come posso far sì che questi ragazzi che mi sono affidati possano incontrare Gesù?

La risposta non sta tanto in quello che si dice, ma nel come "si fa" catechismo: «Non si ricorderanno di quello che gli avete detto, ma si ricorderanno che gli avete voluto bene». Si ricorderanno di questa persona, che è quella che mi ha fatto incontrare Gesù, che mi ha insegnato a pregare. Siamo chiamati a far sì che la persona di Gesù diventi la nostra vita.

L'ultimo punto di questa premessa è un'indicazione: questa sera diremo solo un alfabeto. Ai ragazzi non riusciremo a spiegare tutto, ma quello di cui hanno bisogno: come noi oggi.

I passi

Il primo passo è la Parola di Dio nell'iniziazione cristiana. Pensando al catechismo per un ragazzo, per esempio, di quinta elementare, si possono individuare alcuni passaggi, alcuni momenti.

  1. L'inizio è aiutare a contemplare il mistero della creazione, a osservare. I ragazzi si accorgono prima della tecnica, poi della scienza, poi, forse, della natura. Ma c'è un autore solenne, una presenza dietro ciascuna di queste cose, qualcuno che ha pensato a te: a questo condurrà l'osservazione. Dietro la cosa c'è sempre un autore: in questo modo si fa entrare il ragazzo nel mistero. Altrimenti avremo una conoscenza senza riconoscenza. Per raggiungere questo fine aiutano le bellezze naturali.
  2. Poi occorre scoprire che la Parola di Dio arriva attraverso una tradizione credente. Un ragazzo è sempre contestualizzato: la famiglia, la scuola, gli amici etc. Il contesto deve avere uno spazio definibile come "tradizione credente", cosa oggi difficile da fare. Per raggiungere questo fine bisogna valorizzare le occasioni, collaborare con gli adulti.
  3. La Parola di Dio mi arriva attraverso un linguaggio, una modalità. Sentir parlare del Signore dal papà o dalla mamma, e vederli, mentre ne parlano, arrabbiati o felici, è una mediazione della Parola di Dio attraverso un linguaggio di lode o di rimprovero razionale o ancora affettivo. Il linguaggio, a volte, incide più del contenuto.

        Ripensiamo alla nostra fanciullezza: avremo più sensazioni che contenuti, più sensazioni che non la "precisione del dogma".
  4. Bisogna, certo, rispondere alle domande, ma non pretendere di spiegare tutto subito: l'inizio è l'introduzione al mistero, ossia il superamento della concezione illuministica del mistero, che non è qualcosa di incomprensibile. Il punto è che non solo la ragione, ma anche l'affetto conduce alla verità; il mistero si comprende fino a un certo punto, ma può essere conosciuto.

    Definire qualcosa "misterioso" significa dire: ne conosco qualcosa, ma mi piacerebbe conoscere di più. A poco a poco nasce l'intuizione di chi sia Dio. Misteriosità significa che non stiamo parlando di una favola, ma nemmeno che il tutto è riconducibile alla sola ragione.

Se ci sono tutti questi punti, allora i ragazzi sono pronti per la Bibbia, intesa come una biblioteca: non va "assunta" tutta insieme, ma un libro alla volta. La Bibbia, non a caso, contiene linguaggi diversi: c'è storia e c'è fantasia, fa piangere e fa ridere.

Il secondo passo è il ragazzo come uditore della Parola.

«La porta del cristianesimo non è l'etica: la porta del cristianesimo è la grazia»

  1. Noi dobbiamo raggiungere i ragazzi che abbiamo: «Se non avete fiducia nei ragazzi che avete, non fate il catechista». Occorrono pazienza e benevolenza. Molti dei nostri ragazzi sono confusi perché non ricevono messaggi unidirezionali ma si trovano in mezzo alle contraddizioni. Per questo è importante dire un pensiero per volta. La confusione mentale suscita l'alterazione emotiva e l'irrequietezza corporea. Molti hanno paura: non sono rassicurati, ma non manifestano i timori. L'uditore della parola deve invece percepire di essere raggiunto per quello che è: ciò lo rassicura da ogni forma di paura.
  2. Il racconto richiede il nostro coinvolgimento: un racconto neutro è impossibile, mentre molto passa dal nostro coinvolgimento. Il catechista è un narratore: prima della "lezione", bisogna preparare il "maestro". Raccontando, occorre dare l'idea di strada, presente in molti brani biblici: Emmaus, l'Esodo, l'intero vangelo di Luca. Facendo il catechismo, i ragazzi stanno facendo un viaggio guidati dalla Parola. La Parola mette in comunione, costituisce una relazione. La relazione e il contenuto sono i cardini del racconto.
  3. Il racconto presuppone l'ascolto, ma che cosa significa ascoltare? Individuiamo tre significati:
    1. Una corretta percezione di sé, delle proprie doti e dei propri limiti. Capire fin dove si può arrivare, senza cadere nel senso di onnipotenza né essere così intimiditi da non esprimersi con libertà.
    2. Occorre lasciare uno spazio all'altro.
    3. Bisogna costruire nei ragazzi il senso di Dio: far capire che non sono da soli. «Se tieni nel cuore lo Spirito Santo, non sarai mai solo». È bene fare degli esempi: quando esci di casa, di' una preghiera; quando vai a letto, ringrazia. Quando sei in giro non sei mai da solo. È un'esistenza dialogica: vivere alla presenza di Dio: una "comunione spirituale".

      In questo modo si coltiva il senso di introspezione, ma non bisogna fare a meno della Rivelazione: puoi entrare in te stesso ma, senza la Parola, come conoscerai il nome di Gesù? E non si può fare a meno nemmeno della Persona: ti descrivo Dio come qualcuno con cui puoi metterti in rapporto.
  4. Fare memoria della storia della salvezza. Bisogna entrare nel tempo, non accontentarsi del frammento, dell'oggi: c'è un ieri e un domani. Il passato va inteso come grazia, nel futuro serve fiducia: l'amore che ricevi e la speranza nel futuro. Da ciò nasce il senso della fedeltà: fedele è l'aggettivo del Dio cristiano. Dio non ti abbandona mai: non ti mette paura, ma ti stimola a fare tutto quello che puoi. La memoria è quindi esistenziale: si tratta di conservare le esperienze più belle della vita.
  5. Affidarsi alla fedeltà di Dio.
    1. Sentirsi chiamati per nome: Dio ti conosce, Gesù ti conosce. «Tu mi scruti e mi conosci».
    2. Aiutarli a non avere paura.
    3. Aiutarli a sentirsi perdonati. «Allora Dio mi cerca ancora, mi vuole bene, non mi ha giudicato».  
    4. Insegnare a pregare: pregare con i ragazzi, con ogni ragazzo. Non è banale insegnare a memoria le preghiere: costituiscono uno "zoccolo duro". Non fa nulla se vengono ridotte a una cantilena: se e quando tutto il resto sparirà, resteranno come "scialuppa di salvataggio".
  6. Imitare: imitare Gesù. Entrare nei personaggi della Bibbia, comprendere il linguaggio e tradurre il tutto nella vita. Da qui si arriva alla costruzione di una coscienza etica. Vedi "L'imitazione di Cristo".

«La porta del cristianesimo non è l'etica: la porta del cristianesimo è la grazia»

Bibbia e catechesi dell'iniziazione cristiana

Bibbia e catechesi dell'iniziazione cristiana

di don Ugo Lorenzi

Tre domande, per iniziare:

  1. Perché la Bibbia nella catechesi?
  2. Che cosa della Bibbia nella catechesi?
  3. Come la Bibbia nella catechesi?

1. Perché la Bibbia nella catechesi?

La Parola di Dio è la consapevolezza che in ogni momento esiste la possibilità di incontrare Dio, che vuole, desidera, "non ne può più" di venirci incontro.

«Dio parla»: un verbo è più adatto dei sostantivi, perché Dio è il Dio delle azioni compiute, il Dio che s'incontra nella vita. Come dice la costituzione Dei Verbum: «Dio parla agli uomini come ad amici».

  1. Dio parla: sarebbe bene fermarsi davanti al testo, ancor prima di aprire la Bibbia, come quando si riceve una lettera e si vede il mittente senza ancora aprirla.
  2. Lo stile: «Come ad amici». Dio entra in conversazione con i suoi figli.
  3. L'obiettivo: «per invitarli e accoglierli alla comunione con sé». L'obiettivo è l'intimità. «Fine di ogni catechesi è condurre le persone a conoscere, entrare in contatto, entrare in intimità con Gesù»: è un crescendo.

Le mediazioni concrete sono quattro: la Bibbia, la liturgia, la vita secondo lo Spirito (la vita morale), la vita profana. Dio, tuttavia, si fa trovare anche in modi imprevedibili.

La Bibbia è la possibilità di metterci in ascolto della Parola, di continuo. La catechesi viene allora vista come un'eco della Parola di Dio: kathce‹n (katechéin), secondo l'eco di Dio che parla. È un suono, non possiamo possederlo. Non si tratta di qualcosa che voglio possedere o che vuole possedere me.

La relazione con Dio è «Ascolta, Israele». Ogni catechista deve lasciar parlare la Bibbia per ciò che la Bibbia dice, non per ciò che vorremmo che dicesse. È importante incontrarne la novità senza assimilarla al "già noto", al "l'ho già sentito, lo conosco già": bisogna lasciare che i testi parlino.

2. Che cosa della Bibbia nella catechesi?

Non si tratta tanto di "tirare fuori qualcosa" ma di entrare noi nella Bibbia, come in un giardino o in un mondo nuovo: «Imbeversi, impregnarsi e permearsi mediante un contato assiduo con i testi del linguaggio della Bibbia e del suo Spirito». L'impregnarsi è graduale, coinvolge tutta la persona e riguarda tutta la Bibbia: i suoi personaggi, le sue storie, i suoi inni.

Un racconto non può essere sintetizzato in un'idea: rischiamo di tramortire il testo. Il racconto vive del ritardo, dei tempi allargati.

Come trama di sfondo c'è il racconto della storia della salvezza nelle sue tappe principali. Il tutto deve essere il più possibile collegato alla vita dei ragazzi. Per esempio, il rapporto genitori/figli è il tassello della bontà di Dio nella storia, è figura della paternità e della maternità di Dio. Per fare questo bisogna voler bene ai ragazzi, e la testimonianza deve essere sulla scia dei personaggi biblici: «Tu sei quell'uomo» come disse il profeta Nathan a Davide.

3. Come la Bibbia nella catechesi?

Nella catechesi, la Bibbia va usata anzitutto come la usano i catechismi, pure se ci si appoggia a un progetto diverso o a una proposta personalmente elaborata: è la logica di fondo che importa.

Per esempio, il catechismo Io sono con voi segue il vangelo di Marco con attenzione: l'obiettivo è aiutare i bambini a incontrare Gesù che cammina verso di noi. Vengono sollecitati i sensi: "guarda, ascolta, segui...". Marco è infatti il vangelo del catecumeno, di chi incontra Gesù per la prima volta.

Il catechismo Venite con me segue invece il vangelo di Luca: mira a far diventare discepoli di Gesù, apprendisti di Gesù. Gesù inizia a dire delle cose, e le dice proprio a me. Siamo in viaggio verso Gerusalemme, rispondendo alla chiamata.

Sarete miei testimoni passa da Gesù alla vita della Chiesa, facendo perno sugli Atti degli Apostoli. L'obiettivo qui è diventare testimoni, rispondere a questo Gesù che chiama: si diventa soggetti attivi.

A mano a mano che si procede, la presenza della Bibbia aumenta sempre di più. È un po' come un'elica: i vangeli sono sempre gli stessi, cambia la nostra condizione di vita, il nostro punto di vista.

Da una parte, la ripetizione logora («Lo so già ...»), per cui si tende a rinnovare continuamente le cose, di solito con frustrazione. Ma c'è un'altra via: le cose della mia vita sono quelle, ma ci sono io che cambio e posso usare un'angolatura nuova. Come durante una gita in montagna: dal bosco si passa alla cima fino a vedere tutta la vallata. È sufficiente lasciare che le cose liberino la loro novità .

I punti difficili

Una delle difficoltà che si incontrano usando la Bibbia a catechismo è rappresentata dal fatto che nella Bibbia si parla di violenza, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento («dare le briciole ai cani»). È importante non proporre nulla che, quando i bambini saranno diventati grandi, debba essere ritrattato. Non bisogna mai dire, per esempio, «Fai il bravo o Gesù si arrabbia».

Alcune cose andranno probabilmente rimandate (non ignorate) o a un secondo momento o a un dialogo personale.

Altre volte, invece, le "stranezze" nei testi sono non uno scoglio, ma un trampolino.

Prendiamo per esempio il brano della visita dei Magi: si possono fare domande semplici per orientare la riflessione proprio partendo dai particolari che "non tornano". Come mai questi esperti di Erode sanno tutto ma non vanno a Betlemme, e invece quelli che arrivavano da lontano sì? Quando capita a me lo stesso di trovarmi nell'uno o nell'altro caso?

Di ogni testo è poi bene non dire troppo all'inizio, lasciando spazio alle prime impressioni: possiamo vedere tante cose di questi ragazzi tramite i loro interventi. L'intervento intenso del catechista, invece, può scoraggiare le altre persone.

L'inizio sia sempre abbastanza leggero: bisogna dare qualcosa su cui riflettere e avere lo spazio perché ognuno possa parlare di sé.

Ed è importante fare domande vere, domande in cui nessuna risposta sia stupida. Bisogna evitare le domande retoriche, fasulle, che fanno scattare la "buona risposta", che fanno dire ai bambini quello che pensano che ti aspetti. Le domande vere devono parlare a noi.

Un esempio: Zaccheo

Tutto il racconto converge verso l'incontro. Ma, sull'incontro vero e proprio, Luca non dice nulla: è un enigma. Come mai questa decisione?

Bisogna resistere alla tentazione di riempire quel vuoto, ma piuttosto occorre chiedersi come mai ci sia. Iniziamo con le ipotesi, "passeggiamo" nel racconto.

  1. Prima ipotesi: Luca è uno scrittore scarso. Non sapendo rendere l'incontro, ha preferito evitarlo.
  2. Seconda ipotesi: che cosa è successo, secondo voi? Ci baseremo sulla nostra memoria: che cosa avrà fatto, in base a quello che sappiamo di lui, Gesù?
  3. Terza ipotesi: Luca, qui, sta come "strizzandoci l'occhio". Che cosa avvenga quando un uomo accoglie Gesù nella sua casa non posso raccontartelo ma tu puoi viverlo, se vuoi: noi possiamo accogliere Gesù nella nostra casa. L'educatore accompagna fino alla soglia, ma poi tocca a noi.

Il salto dal "testo" all'"ascolto" è sempre dato da qualcosa che non torna, che fa da trampolino. È un'occasione per dare la parola.


Indicazioni puntuali e risposte di don Ugo alle domande


Bisogna saper sfruttare con sapienza l'"onnipresenza" della Bibbia: si può usarla per pregare, con i Salmi, il Magnificat, il Benedictus e via di seguito. Si possono valorizzare le frasi sintetiche poste nel catechismo alla fine di ogni capitolo. Bisogna imparare a riconoscere la Bibbia nella Messa domenicale (il lezionare, l'ambone,i libri) e la matrice biblica delle preghiere più comuni.

Per i catechisti è fondamentale rimanere in un rapporto di preghiera con la Parola di Dio, risparmiando sul resto: per il materiale, i sussidi, i libretti sarà utile un archivio parrocchiale. Il catechista non dovrà cercare il materiale da sé e avrà più tempo per pregare.


Il contatto diretto dei ragazzi con la Bibbia è indispensabile, ma occorre anche saper leggere e raccontare per far amare il testo e mostrarne la "vivacità". Per questo si possono sfruttare le abilità di genitori e catechisti, scoprendo i talenti attorno a noi: le persone più brave sono spesso anche le più discrete; ci sono un sacco di talenti semisepolti. Tutto ciò ha anche il vantaggio di non vincolare direttamente i vari papà e mamme.


Una lectio divina semplificata

  1. Che cosa dice il testo?
  2. Che cosa mi dice il testo?
  3. Sostare nella preghiera (un segno, la luce, un salmo, una preghiera scritta etc.)
  4. In che cosa sono cambiato? Che fare, ora?

In questo lavoro può anche essere utile il metodo della Biro a quattro colori.


A proposito di metodi, è bene ricordare che l'insegnamento di un metodo ha l'importante vantaggio di rendere pian piano indipendenti le persone da me. Il catechista che ha fatto bene il proprio lavoro è quello che a un certo punto può tirarsi indietro. Il catechista è al servizio della relazione ragazzo/Bibbia/Comunità cristiana.

Non cambiare metodo a ogni incontro rende le persone libere anche da me, ma legate in modo libero alla creatività della fede. A un certo punto si finisce di essere catechista.


La narrazione

La narrazione è una modalità indispensabile. Dalle modalità più semplici a quelle più complesse: dare la parola ai ragazzi, far riscrivere un testo (così facendo ognuno rivela qualcosa di sé a sé stesso: la Bibbia rivela noi a noi stessi), una piccola drammatizzazione del racconto.

C'è poi un passo in più: ci sono libretti che insegnano a raccontare (c'è un metodo,nei tempi e nelle cose da dire e tacere, e nella preparazione personale). Alcune persone, in particolare, sono naturalmente brave a raccontare; altre possono imparare: ogni arte è stata una tecnica, all'inizio.

Così l'ascolto della Parola può diventare un"viaggio al cuore della fede". Ci chiederemo: «Questa realtà che abbiamo intorno chi l'ha voluta, chi l'ha desiderata?», che è proprio quello che si sono chiesti nel quinto secolo a.C. quelli che hanno scritto l'inno di Genesi 1.


L'incontro di catechesi dovrebbe essere strutturato in "moduli" di al massimo 10/15 minuti l'uno. In un'ora di catechismo ci dovrebbero stare almeno tre moduli, e ognuno dovrebbe essere compreso nel proprio tempo massimo. E, se non si riesce a finire, pace.

Catechesi e ascolto liturgico

Catechesi e ascolto liturgico

di don Emilio Rimoldi

Nella terna Parola di Dio/catechesi/liturgia, la Parola di Dio viene vista da due prospettive che si sostengono a vicenda ma restano distinte; entrambe convergono verso la Parola.

La Parola di Dio è innanzitutto "parola": non porta solo un contenuto, dei dati, ma anche la persona che la sta dicendo, chi è, in che relazione è con me. La Parola ci porta al cuore di Dio, alla sua volontà.

1. La catechesi

Catechesi viene da kathcšw (katechéo), "far risuonare" (ciò che è già suonato nella liturgia). Qual è la sua specificità? Approfondire un annuncio generalmente già accolto (perché siamo già battezzati), far risuonare nella vita la Pasqua di Gesù: come vivere oggi lo stile di Gesù? Inoltre è pure lo spazio in cui conoscere Dio usando anche la ragione.

Prendiamo per esempio il brano di Emmaus (Lc 24): ascoltare la Parola di Dio nella catechesi è aprire la mente all'intelligenza delle Scritture, ascoltare e comprendere le parole che Gesù ha detto.

Come scegliere la Parola di Dio da proporre nella catechesi? Esiste un uso strumentale (un "appoggio di autorità") o, meglio, posso partire da un brano e vedere che cosa dice a me: ascoltare, non "usare".

È bene che la lettura sia "interattiva" (usando la biro a quattro colori, o drammatizzando il brano): l'importante è restare attaccati al testo, e al contesto; non bisogna lavorare troppo di fantasia.

È necessario fare domande, ascoltarle, dare anche nozioni che possano aiutare a conoscere il Volto del Padre. Come nel caso della guarigione dei lebbrosi: Gesù parla del volto del Padre, che non castiga ma salva il peccatore.

Poi c'è il passaggio all'etica: mi invita a fare, a mettere in pratica («Senza le opere, la tua fede non c'è» Gc). Come la Parola di Dio intercetta il mio quotidiano? Attenzione però a non cadere in facili moralismi, come nel caso della parabola del seminatore. La nostra non è una fede in doveri, ma una fede personale. I doveri nasceranno dall'incontro con una persona. Né bisogna banalizzare la Parola di Dio; non è la favoletta di Esopo: «il mito insegna che» è un modo orribile per concludere la Parola di Dio.

2. La liturgia

Liturgia: sto faccia a faccia con il mio Dio. La catechesi è più razionale; la liturgia è un incontro orante, contemplativo, un ascolto (riferimento a pagina 40 del libretto della "Quattro Giorni 2008").

Nella liturgia è presente l'azione salvifica di Dio (pagina 41) e ciò è particolarmente evidente nel vangelo di Luca. Si dice che le prime parole pubbliche pronunciate da Gesù, secondo Luca, siano «Lo Spirito del Signore è sopra di me», ma in realtà ciò è impreciso: nella narrazione, in questa occasione, Luca dice «trovò il passo dove era scritto» ma non «e lesse». Le vere prime parole che Luca fa pronunciare pubblicamente a Gesù si trovano poche righe più sotto, al punto dove sta scritto «Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato"».

La specificità della liturgia è alle pagine 42 e 43 del libretto, al paragrafo 34.

La Parola di Dio è la Parola di un popolo e per un popolo e che crea un popolo. Un popolo non è una folla: la folla non ha niente che la tenga insieme; un popolo è invece formato da gente che ha legami forti, che condivide una storia, una cultura, un'identità, una lingua e dunque una struttura di pensiero. La Parola di Dio è per un popolo, non per il singolo. La parola crea il popolo, riporta il popolo alle sue origini.

L'azione di Dio nella Parola avviene per la forza dello Spirito. La liturgia è una struttura dialogica: si ascolta e si parla (come esemplificano le letture e la preghiera dei fedeli). Il dialogo non è solo sintonico, ma è richiesta sempre una risposta orante e nella vita. Il luogo del ragionare è la catechesi; qui sto incontrando l'amato del mio cuore, e poi gli risponderò con la mia vita.

L'ascolto comunitario crea l'identità del popolo. Nella liturgia avviene un incontro: tutto è orientato a questo. Preparare un momento liturgico deve quindi avere questo obiettivo.

Nella pratica: come coniugare il dialogo con Dio e il carattere di sacralità e misteriosità a un linguaggio difficile, che non usiamo più? Come comprendere gesti che a noi non parlano più (come l'unzione crismale)? È meglio una liturgia adatta ai bambini o aiutarli a vivere la liturgia normale? Come coniugare Tradizione e sensibilità di oggi?

Due attenzioni: in questa celebrazione che cosa posso fare perché vi si partecipi con frutto? La liturgia è un incontro con il Signore, non la spiegazione di un incontro: un bel gesto è quello che parla da solo (i gesti non vanno spiegati, devono capirsi).

Liturgia e catechesi sono legate da un circolo virtuoso. Nella liturgia si devono usare parole brevi ed è importante stare dentro i ritmi della celebrazione. Liturgia e catechesi sono due momenti distinti ma circolari.

Il nuovo Lezionario Ambrosiano

Il nuovo lezionario ambrosiano

di don Norberto Valli

La situazione attuale

Dopo la riforma liturgica operata dal Concilio Vaticano II, anche nella Diocesi di Milano è stato adottato il Lezionario Romano, in particolare per il tempo per annum. Dal 1976, però, è stato introdotto anche un Lezionario Ambrosiano ad experimentum da usare in Avvento, nel tempo di Natale, in Quaresima e nell'Ottava di Pasqua. Il Sinodo XLVII ha insistito per l'organizzazione di un Lezionario Ambrosiano in forma completa, completando così la riforma liturgica per il nostro rito.

Una delle principali caratteristiche del nuovo lezionario è la struttura in tre libri:

  1. Il Mistero dell'Incarnazione
  2. Il Mistero della Pasqua
  3. Il Mistero della Pentecoste

In pratica nel corso dell'anno si rivive l'intera storia della salvezza in Gesù: l'anno liturgico è contemplazione del mistero di Cristo, visto da angolature diverse.

Rispetto al passato è rimasta la ciclicità nella proclamazione della Parola: i 3 anni per le letture domenicali (A, B, C) ci sono ancora. Durante l'anno A si legge il vangelo di Matteo; durante l'anno B Marco; durante l'anno C Luca (almeno per quanto riguarda i periodi che corrispondono al vecchio "tempo per annum"). Nella scelta delle pericopi si è posta maggiore attenzione a mantenere la prima lettura in collegamento con la terza, ma anche a collegare più chiaramente la seconda con una rinnovata scelta di brani (nel vecchio lezionario, la seconda lettura spesso andava un po' "per conto proprio").

Anche lo schema delle letture per i giorni feriali è rimasto lo stesso, realizzato su due anni. In aggiunta a questi cicli è nato un "ciclo sabbatico" (per la messa propria del giorno di sabato, non per quella che era la "prefestiva"): a un giorno "quasi festivo" viene riservato il Pentateuco e la sua comprensione attraverso Paolo e i Vangeli.

Che cosa è cambiato?

Abbiamo abbandonato la lettura dei vangeli l'uno di seguito all'altro, ma è stata preferita una scelta di brani biblici tutti collegati, dando alle letture un carattere tematico: non nel senso che viene scelto arbitrariamente un tema, ma ogni domenica diventa la chiave di accesso al mistero di Cristo secondo una diversa prospettiva, complementare alle altre.

C'è un maggior dispiegamento di brani dell'Antico Testamento, da leggere indossando delle "lenti cristologiche": viene apprezzato perché ne vediamo la realizzazione in Cristo. Come diceva sant'Ambrogio: «Se non berrai il primo testamento non potraii bene neppure il secondo».

È stata introdotta la struttura vigiliare per la messa del sabato sera. "Prefestiva" non significa nulla: che valore ha il "pre"? Invece il giorno festivo, per la nostra tradizione, inizia al tramonto del giorno precedente, come nella tradizione ebraica (tant'é vero che i vespri del sabato - e di ogni giorno che precede una festa - sono i "primi vespri" della domenica - o della festa).

La messa del sabato è dunque già festiva, ed è il portale d'ingresso alla domenica: il prototipo di ogni vigilia è la Pasqua, e noi ambrosiano abbiamo le altre tre grandi vigilie (quelle di Natale, dell'Epifania, di Pentecoste) che possono essere celebrate con lucernario, inno, quattro letture dell'Antico Testamento, epistola e Vangelo, liturgia eucaristica e magnificat.

La novità attuale è ispirata a queste grandi vigilie: dotare anche la domenica di una vigilia. Il sabato non è più una sbrigativa anticipazione della domenica, ma un "atrio" della domenica quale Pasqua settimanale, l'inizio di un giorno straordinario.

La struttura prevede una forma solenne con struttura vesperale che prevede la proclamazione di uno dei 12 vangeli della risurrezione (come fanno gli orientali) al centro dell'altare, seguita dalla proclamazione in canto «Cristo Signore è risorto» e «Rendiamo grazie a Dio». Seguono il salmello, l'orazione, il canto, l'orazione all'inizio dell'assemblea e una sola lettura (un brano dell'Antico Testamento o, in avvento, l'epistola), poi il Vangelo e quindi la messa procede come al solito. La conclusione comprende il canto del magnificat.

C'è poi una forma semplice: una messa "normale" con l'annuncio della risurrezione al posto dell'atto penitenziale. Ciò è possibile ricordando che l'atto penitenziale non ha valore sacramentale, ma ricorda che serve un animo puro per accostarsi al mistero: è nell'Eucaristia che avviene la remissione dei peccati veniali.

I tre libri

1. Mistero dell'Incarnazione

Il primo libro copre il periodo che va dalla prima domenica d'Avvento fino alla Quaresima esclusa (eliminando così il tempo "per annum").

L'Avvento è stato riordinato e reso più organico, dandogli uno sviluppo progressivo. Nei giorni feriali vengono lette le profezie, mentre i libri biblici sono abbinati ai tempi per aiutare a comprenderne la rilettura cristologica. Si usano Geremia o Ezechiele abbinati a un profeta minore, e poi il vangelo di Matteo.

Le domeniche dopo l'Epifania traggono ispirazione dall'inno dell'Epifania che si recita nella Liturgia delle Ore e che contiene tutti i segni epifanici. Ecco la manifestazione della divinità di Criso alle genti secondo diverse prospettive, una per ogni domenica: l'Epifania, il battesimo, le nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani (domenica che rischia spesso la sovrapposizione con la festa della Sacra Famiglia).

In questo modo contempliamo i segni che mostrano la divinità di Gesù: segni cosmici, come il camminare sulle acque e la tempesta sedata, e le guarigioni.

A queste domeniche seguono due domeniche "fisse", che prevalgono sulle altre se il calendario lo richiede: hanno a tema l'una la clemenza di Dio e l'altra la disponibilità di Dio al perdono.

2. Il Mistero della Pasqua

Questo libro non introduce grandi novità: il Lezionario ad experimentum era già radicato nella tradizione ambrosiana. C'è stato tuttavia un accrescimento nel feriale (con l'introduzione di un doppio ciclo di letture) e l'introduzione di tre cicli nelle domenica (A, B, C) per quanto riguarda le due letture, mentre i vangeli domenicali non sono stati toccati.

Il nuovo lezionario porta dunque con sé la forza di suggerire percorsi biblici coerenti per una catechesi che si alimenti della Sacra Scrittura.

Il Triduo ambrosiano, durante il quale si legge il vangelo di Matteo, è molto storicizzante e accompagna la passione passo passo. Dopo la riforma avevamo perso la commemorazione della deposizione nel sepolcro: ora torna alla sera del venerdì, dopo la via Crucis, il libro di Daniele e il cantico dei tre giovani nella fornace (mentre la passione resta al pomeriggio). Per il mattino del sabato, invece, c'è il brano delle guardie poste a custodire il sepolcro. Per il giovedì santo il tema è Gesù che si dona e l'uomo che lo tradisce (nel senso proprio di tradĕre, consegnare).

Il tempo pasquale introduce la possibilità della reduplicazione delle feste: dato che per esempio la festa dell'Ascensione torna al quarantesimo giorno dopo la Pasqua (e non più la domenica successiva), per ragioni pastorale la si può duplicare alla domenica, ma la festa "vera" resta al giovedì.

Si potrà obiettare: «Ma chi andrà a messa al giovedì?». Eppure serve un segno profetico: anche se non ci sono le ferie la festa è lì. O ha valore il giorno in sé, o... E se un domani la domenica non fosse più un giorno festivo? Già ora, dopotutto, si lavora la domenica. «Il numero 40 nella Bibbia ha un senso... il 43 un po' meno».

Nei giorni seguenti, infine, il tema è l'attesa dello Spirito Santo, con brani dal Cantico dei Cantici (ci è stato tolto lo sposo e la sposa anela al suo amato) e da Paolo.

3. Il Mistero della Pentecoste

Quest'ultimo tempo può essere visto come un grande ponte a tre arcate, i cui pilastri sono:

  1. la Pentecoste
  2. il martirio di Giovanni il Battista (29 agosto)
  3. la Festa della Dedicazione (da cui si arriva fino all'avvento)

Il martirio di Giovanni ha sempre avuto una grande forza nella nostra tradizione: indica l'inizio dell'era dei martiri, tant'è vero che in oriente l'anno iniziava proprio in quel giorno.

In questa "seconda arcata" si pone dunque non a caso l'inizio dell'anno pastorale, in un tempo segnato dalla testimonianza.

Il periodo successivo alla Pentecoste comporta una rilettura della storia della salvezza che avviene contemplando i grandi eventi, la Santissima Trinità, il Corpus Domini (tornato al giovedì e che, come l'Ascensione, si può reduplicare), poi la creazione e le vicende della storia di Israele (fino alla domenica prima del martirio di Giovanni) seguendo il libro dei Maccabei. Il tutto avviene cogliendo il rapporto con Paolo e i vangelo (le "lenti cristologiche" di cui parlavamo prima). Nei giorni feriali c'è un approfondimento di queste tematiche.

Il periodo che inizia con il martirio di Giovanni il Battista mette a tema la vocazione apostolica, i miracoli e le parabole: la vicenda della Chiesa che nasce dalla Pentecoste. Nei giorni feriali vengono usati i testi apostolici.

L'ultimo periodo è quello che inizia con la Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani. Questa nuova denominazione segna un passaggio: anche chi è di rito ambrosiano ma al di fuori della nostra Diocesi ha una sua cattedrale. Significativo che la dizione sia "ambrosiano" e non "di rito ambrosiano": comprende anche le comunità di rito romano presenti in Diocesi (Monza, Treviglio etc.).

La prima domenica successiva alla Dedicazione diventa, per la nostra Diocesi, la giornata missionaria (che così non si sovrappone più alla Dedicazione), e poi si prosegue fino a Cristo Re, che è uno sguardo riassuntivo sul Pantocratore, Signore del Cosmo ma che regna dalla sua croce.

Conclusione

La liturgia è l'ambito ideale per la proclamazione dei testi biblici perché assicura la presenza dello Spirito che rende viva la Parola, che piove come grazia feconda sull'intera assemblea, che partecipa e attualizza: gli effetti salvifici si danno a me.

La catechesi ha da apprendere dalla liturgia: non bisogna parificare il testo biblico a qualsiasi altro sussidio ma creare il clima giusto, farlo emergere. Il nuovo lezionario è stato creato anche con l'intenzione di permettere un rapporto più stretto tra liturgia e catechesi.