I giochi di ruolo fanno male?

GdRI Giochi di Ruolo fanno male? Nello specifico, D&D fa male? Porta a trasformarsi in adepti di sette strane, adoratori del demonio, operatori di sacrifici umani, calpestatori di aiuole?
La risposta breve è: no.
La risposta lunga è, ovviamente, un po' più complessa.

L'idea di fare un piccolo riassunto è nata dalla visita a un sito che definire curioso è come dire che Bill Gates è benestante e che ospita un “approfondimento dal punto di vista cristiano” sui giochi di ruolo. Solo che, a leggerlo, si scopre che l'approfondimento è approfondito quanto il Piave d'estate, e il punto di vista cristiano è quello che deriva da una concezione di cristianesimo che ben si attaglierebbe agli automatismi rituali tipici dell'islam o di qualunque altra religione che si risolve in un insieme di regole piuttosto che in un incontro (al quale semmai le regole sono propedeutiche, o conseguenti, ma non sostitutive).

Mi piacerebbe un giorno avere il tempo di smontare l'“approfondimento” pezzo per pezzo, e magari lo farò. Per intanto, spiego il perché della risposta breve.

Il punto cruciale è semplice: un gioco di ruolo non è un male in sé, per il semplice motivo che un gioco di ruolo, come dice il nome stesso, è una sorta di “teatro da tavolo”, un agire della fantasia, non dissimile dai giochi dei bambini quando dicono «Facciamo finta che io ero...» ma trasportato nell'adolescenza e anche nell'età matura. Perché? Perché a tutti piace creare storie, e possibilmente esserne protagonisti.
«Ma nei giochi di ruolo» si obietta spesso «si parla di demoni, fate, magia, mostri... Non è male tutto questo?». Chi fa questa domanda fa nascere in me l'immediato sospetto che creda che l'autore di Cappuccetto Rosso fosse davvero convinto che esistesse un lupo capace di travestirsi da nonna. O che l'autore di Cenerentola passasse le serata in attesa della Fata Madrina che ne migliorasse le condizioni.
Da che mondo è mondo, per lo meno dall'Odissea ma anche prima, le creature fantastiche e le avventure servono per dire qualcosa su questo mondo parlando d'altro; servono inoltre per soddisfare quella sete di creazione che l'uomo, in quanto collaboratore della creazione (come dice la Genesi) ha in sé. E come Dio ha creato un mondo con le parole, l'uomo crea il proprio con le proprie parole. Con una differenza importante: quello che dice un uomo non diventa automaticamente realtà concreta, ma questi mondi possono essere usati per svago, insegnamento, autocoscienza: perché nel gestire il personaggio di un gioco di ruolo si svela una buona parte di sé.

«Ma non potrebbe essere» ecco l'altra obiezione «che questa attività attragga comunque l'intervento del Maligno, il quale potrebbe far sì che uno preferisca vivere nel mondo di sua invenzione piuttosto che in quello reale?». Anche qui, chi obietta in questo modo deve passare molto tempo in una grotta senza incontrare alcuno. Pur conoscendo molti giocatori, non conosco nessuno che anche per un solo istante creda che quanto fatto durante il gioco sia vero. Invece, conoscendo molti tifosi di calcio, vedo che pressoché tutti antepongono la prossima partita a qualunque altra cosa, o idolatrano i giocatori riservando loro un'adorazione che non riservano a nessun altro. Di più. Conosco preti giocatori che sono i migliori al mondo nell'evangelizzare e saldi nella dottrina; e conosco preti tifosi di calcio capaci di dimenticare tutto per una sera allo stadio, o per i quali l'educazione degli adolescenti si riduce nel portarli con sé al suddetto stadio e insultare (non per modo di dire) insieme la squadra avversaria.
Non è perché un gioco parla di demoni che il Demonio si trova facilitato a carpire anime: se la cava benissimo con le passioni “socialmente accettabili”.

Poi, certo, non dubito che esistano casi deviati di persone che sacrificano al gioco di ruolo tutto il loro tempo, così come c'è chi lo fa con il gioco d'azzardo, il calcio (raramente con gli altri sport) o qualunque attività in grado di compensare il loro senso di inadeguatezza nella vita reale. È gente che ha già problemi di suo e che, nel caso, sarebbe capace di farsi influenzare anche da Topolino.

Come dicevamo all'inizio: tutto sta nel modo in cui si intende un gioco di ruolo. Se è un modo di raccontarsi storie – anzi, di creare insieme delle storie – esattamente nel modo in cui sono nati i miti dell'antichità o le fiabe dei secoli passati, e in questo modo passare del buon tempo insieme, allora non si può correre alcun pericolo nemmeno trattando di diavoli cornuti, perché la storia resta tale, ben lontana dalla realtà. Se invece lo si prende come un rimedio al senso di inadeguatezza provato nella vita reale, allora possono sorgere i problemi; ma essi non sono connaturati al gioco di ruolo: un'occhiata al mondo dimostra che qualunque cosa può assolvere a questa funzione, ed essere in tal modo pericolosa.

Per conto mio, e per conto dei molti che conosco e frequento, tratto il gioco di ruolo nella maniera descritta magistralmente da Andrew Rilstone (con molte opinioni del quale in altri campi, devo ammetterlo, non sono d'accordo; ma in questo caso lo sono totalmente) nel 1996, e che riporto qui sotto – senza l'intenzione di infrangere alcun copyright, va da sé: il testo viene da un file .odt che stava da tempo nel mio hard disk perché, avendolo trovato in Rete tanto tempo fa ed essendomi piaciuto, ho deciso di salvarlo. Persino chi gioca solo per crearsi il personaggio più potente nasce con questa concezione. La realtà è che chi ha scritto quell'“approfondimento” non ha mai conosciuto un giocatore né visto come funziona un gioco di ruolo, oltre a dimostrare una certa ignoranza dell'argomento “fantasy” in alcuni punti.

Ad ogni modo, eccolo qua.

COME SPIEGARE ALLA NONNA CHE COSA SONO I GIOCHI DI RUOLO

Siate sinceri: non temete anche voi che prima o poi la nonna alzerà gli occhi dal suo lavoro a maglia e vi chiederà: “Di’ un po’, cosa sono esattamente quei giochi che fate tu e i tuoi amici?” Andrew Rilstone ci spiega come uscire indenni da questa imbarazzante situazione!

Come spiegare alla nonna cosa sono i giochi di ruolo.

Dovendo rispondere a questa domanda mi vengono in mente un sacco di risposte inadeguate, ma la peggiore è certamente “Be’, nonna, i giochi di ruolo sono una riscoperta delle tradizioni dell’età della pietra sulla creazione interattiva di miti.” Potrebbe essere ciò che c’è scritto nel manuale del vostro gioco preferito, alla voce “Cos’è un GdR”, ma la nonna non sa di cosa state parlando. In effetti, credo che non lo sappia nessun altro.

Ok, riproviamoci: “Ah, i GdR? Sono forti, sai? L’altra settimana ho inseguito l’Unicorno Nero fino alle Paludi Maledette.” No, non ci siamo neanche stavolta. La nonna avrà l’impressione che vi mettiate dei vestiti bizzarri e partecipiate a una specie di rievocazione medievale. E non pensiate di provare a dirle che si svolge tutto nelle vostre teste: penserà che vi droghiate.

Non sto dicendo che la nonna è stupida, attenzione. Sa benissimo cos’è un gioco. Gioca a briscola e rubamazzo da una vita e una volta ha giocato a Monopoli nel lontano ‘54. All’epoca pensava che quattro pagine di regole fossero un tantino eccessive, ragion per cui non crederà alle sue orecchie quando le direte che il vostro GdR preferito conta fino a tre volumi.

E rimarrà completamente scandalizzata quando le direte che una buona sessione di gioco dura circa cinque ore. Nel lontano ‘54 un’ora e mezzo di gioco al Monopoli era già molto… eh già, non è più come una volta.

Ma in ogni caso non fatele mai capire, per nessun motivo, che ogni sessione di gioco è la continuazione di quella della settimana precedente! La nonna non ha letto la Dungeon Master’s Guide e quindi non sa cos’è una campagna. Non mi sorprenderei più di tanto se le tante crociate puritano-moralistiche contro i GdR fossero nate da una nonna che, fraintendendo il nipote, abbia detto al suo pastore che “a volte i giovani praticano questi giochi per qualcosa come cinque anni di seguito …”

La nonna sa anche che i giochi hanno un tabellone e che lo scopo del gioco è sconfiggere gli altri giocatori: sarà dura spiegarle che le cose non stanno così. In realtà molte persone hanno le idee poco chiare su questo punto. Una volta ho visto un film su un giovane teppista, il cui unico hobby consisteva nel disporre miniature sul “tabellone” di Dungeons & Dragons. E quei pazzoidi dei predicatori americani si riferiscono ai GdR definendoli “board game occulti”.

Potreste passare il resto della vostra vita (o perlomeno il resto della vita della nonna) a spiegarle che i giochi di ruolo sono basati sull’interpretazione e l’interazione; che i personaggi devono collaborare tra loro, non ostacolarsi a vicenda (sì, davvero!); e che il motivo per cui giocate è semplicemente per divertirvi, che non ve ne viene in tasca niente. La povera vecchietta arriverà alla conclusione che i giochi di ruolo sono giochi su tabellone senza il tabellone e che dopo cinque anni finiscono immancabilmente con un pareggio. Giunta a questo punto, la nonna tornerà a rammendare i calzini di zio Odoardo, convinta che i giovani siano sempre più imperscrutabili… e probabilmente dirà che le sembra un’inutile perdita di tempo.

In realtà la causa dei problemi sta nel termine “gioco”. La maggior parte della gente non ha giocato a nulla di più complesso di Trivial Pursuit, per cui non stupiamoci troppo se i GdR sembrano così strani e incomprensibili.

Però sono convinto che se smettessimo di usare per il nostro hobby un gergo così complicato, centinaia di normali esseri umani vorrebbero unirsi a noi. Quindi, la risposta migliore che possiate dare alla nonna è “Be’, in realtà non sono proprio dei giochi.”
“E cosa sono allora?”
Ed ecco il colpo da maestro. “Sono ciò che si faceva una volta, come ci hai sempre raccontato tu. Ci creiamo da soli le nostre storie. Adesso ti spiego come si fa.”

“Immagina di essere una giovane nobildonna inglese ai tempi della Regina Elisabetta. E’ mattino presto, e hai appena visto uno sconosciuto aggirarsi nei pressi del tuo castello. Ora, prova un po’ a pensare… tu che cosa faresti?”
La nonna abbandona un attimo i ferri e i calzini di zio Odoardo. “Mah, penso che innanzitutto chiamerei i miei servitori.”
“Bene. Lo sconosciuto entra, ti getta una lettera sigillata e corre giù per le scale, rincorso dai servitori.”
“E cosa c’è scritto nella lettera?”
Capito il trucco? Solo che usando questo approccio si corre il rischio di incappare in due inconvenienti.
Volete passare le prossime cinque ore improvvisando uno scenario in cui vostra nonna fa affondare l’Invincibile Armada spagnola e sposa Sir Francis Drake?
E volete davvero essere gli unici a portare un’anziana signora alla prossima sessione di gioco del vostro gruppo?

(© 1996 Andrew Rilstone, first published in Arcane magazine #3)