Pietà, Timore di Dio

Introduzione all'incontro

Prima di metterci comodi e parlare degli ultimi due doni, abbiamo dato un'occhiata alla nostra chiesa parrocchiale e ai criteri che l'hanno voluta realizzata in questo modo.

È una chiesa moderna, di cemento armato, persino spoglia. Entrando, partendo dal fondo e avanzando lentamente, cercando di ignorare i quadri appesi di recente e riportando mentalmente il tabernacolo dov'era in origine, sull'altare, diventa chiara l'idea che aveva in mente chi l'ha progettata: tutto punta lì, all'altare, al tabernacolo, all'eucaristia, centro intorno al quale si sviluppa la Chiesa. Non ci sono distrazioni.

Arrivati davanti all'altare, vediamo che nella parte inferiore, sul pilastro che sostiene la mensa, sono raffigurati Maria e gli Apostoli: la Chiesa primitiva, intorno all'Eucaristia. A dire il vero c'è anche Gesù, ma si trova dietro, e tipicamente è visibile soltanto al sacerdote.

Al centro della mensa, l'abbiamo detto, c'era il tabernacolo. Ora, ogni volta che si celebra la Messa, c'è il Pane Consacrato. Nell'uno e nell'altro caso, la Chiesa primitiva è riunita intorno alla presenza reale di Gesù.

Ma c'è dell'altro. Proprio sopra l'altare - com'è evidente dalla prospettiva di chi entra - c'è e si sviluppa verso l'altro, come a prendere le mosse dall'Eucaristia, il popolo di Verghera raffigurato nel mosaico con il clero locale del tempo (don Mario, don Gianmario, mons. Giannazza) da un lato e, dall'altro, papa Paolo VI e l'Arcivescovo Colombo. Tutti insieme, la "Chiesa militante" di oggi, legata per discendenza alla Chiesa primitiva radunata intorno a Gesù.

Più sopra ancora, sempre nel mosaico, ecco Maria e gli angeli, raffigurazione della "Chiesa trionfante".

La struttura della nostra chiesa ci rimanda insomma all'intera storia della Chiesa cresciuta intorno alla pietra angolare, Gesù. Chi l'ha costruita sapeva da dove veniva, dai secoli che l'hanno preceduto, dalle testimonianze continue dell'amore di Dio per i suoi figli e dalla "società" che è nata da quest'amore, la Chiesa stessa. Sapeva che alla base di tutto è necessario che ci sia Gesù, il quale ha compiuto la rivelazione del volto di Dio Padre che provvede a noi con la cura propria del genitore, cui siamo chiamati a rispondere con affetto e rispetto.

Perché l'immagine del "padre" non è casuale: come verso i genitori nutriamo affetto ma anche rispetto, così verso Dio. Come dai genitori proviene tutto quello che abbiamo, la nostra educazione, la possibilità di crescere, così da Dio proviene tutto quello che siamo, la nostra stessa vita. Ed ecco che a Dio dobbiamo gli stessi sentimenti che abbiamo verso i nostri genitori: affetto e rispetto legati insieme, appunto, ossia quello che la Bibbia chiama "pietà e timore di Dio". E questo avviene "naturalmente" una volta che lo si incontra, lo si conosce, lo si ama.

In quest'ottica capiamo allora la costruzione sia delle chiese locali sia delle grandi cattedrali, di come qualcuno neppure particolarmente ricco abbia potuto pensare di privarsi con gioia persino di parte del proprio sostentamento per fare bella la "casa di Dio", per dare una dimora splendida alla persona oggetto della sua pietà e del suo timore, dove raccogliere la famiglia dei figli.


Pietà, Timore di Dio

Pietà

«Il Signore non turba mai la pace dei suoi Figli se non per darne una maggiore» (Don Orione)

Questo dono - ne abbiamo già parlato - non è tra quelli elencati nel testo ebraico d’Isaia. Lo troviamo nella Bibbia dei Settanta (traduzione in greco dell’Antico Testamento, fatta nel II secolo a.C.).

A noi il termine «Pietà» richiama anzitutto e soprattutto la compassione, la misericordia (in questo senso diciamo: «Ho pietà di», «Abbi pietà di me»). Nel linguaggio biblico, invece, «Pietà» esprime attaccamento filiale, il riferimento immediato è ovviamente ai genitori, ma l’allusione più alta è a Dio: il cui amore per noi supera immensamente quello del padre e della madre.

Questo dono è il grande aiuto per cambiare la mente e il cuore, così da far vivere la condizione di figlio non come limite ma come gioiosa esperienza di crescita nell’amore sia nel contesto familiare che con Dio. C’è stata e c’è una più o meno violenta contestazione del padre e della madre, visti come limite alla propria libertà, alla propria originalità. Contestazione che normalmente si limita alle parole ma spesso, però, può giungere ad atti violenti, specchio di una cultura dura, intollerante, che rivendica diritti e non ammette doveri.

Così, con il dono della «Pietà», lo Spirito Santo ci guida a scoprire la bontà paterna di Dio e a vivere di questa verità. Credere veramente che Dio è il padre che ci ama: dà a noi forza, gioia, pace, rende vivibile la vita e rende accettabile anche la sofferenza e la morte.

Molti uomini e donne si sentono così oppressi dalla sofferenza da considerare la vita insopportabile. Solo la fiducia nella paternità di Dio dà la forza di continuare a vivere. Il dono della «Pietà» ci fa scoprire il volto paterno di Dio in tutti gli avvenimenti della vita, sia in quelli sereni come in quelli tragici e porta a fidarci di Dio con lo stesso abbandono di un bambino che si sente sicuro tra le braccia del papà, anche quando è sospeso sull’abisso.

Nella parabola del Padre misericordioso e del figlio che torna alla casa paterna, il filo conduttore è l’amore inesauribile del padre strettamente intrecciato con l’incrollabile fiducia che il figlio ha in questo amore.

Os. 11, 3 - 4 «Gli ho insegnato a camminare, l’ho tirato su fino alla mia guancia e mi sono chinato su di lui per dargli il mio cibo».

Questo rapporto con Dio ha conseguenza anche sul nostro rapporto con gli uomini. Ci fa sentire vicini agli altri, fratelli. Sensibili, senza sentirsi migliori perché la pietà porta sempre con sé l’umiltà.

Frutti della pietà sono la preghiera e la solidarietà.

Timore di Dio

La Bibbia, mettendo insieme, i termini «timore» e «Dio», non vuole certo fare «terrorismo religioso», proponendo un Dio fondamentalmente giudice severo, che incute paura e non dà confidenza. Tale immagine di Dio sarebbe in netta contraddizione con quella padre buono e misericordioso poiché Dio è Amore.

Il timore deve essere piuttosto inteso come affettuoso rispetto nei confronti di Dio, preoccupazione di non offenderlo con la nostra ingratitudine e con i nostri peccati, accurata attenzione a evitare tutto ciò che ci può allontanare da Lui, perché solo in Lui si realizza il progetto di felicità per noi.

Il rispetto per Lui esige ovviamente che vengano evitati la bestemmia e il nominare Dio inutilmente come pure il parlare a sproposito di Lui, il pensare e dire stupidaggini su di Lui.  Cosa che facciamo quando lo immaginiamo e lo presentiamo come controllore del biglietto, guastafeste, esattore delle imposte, uno che trova il male dappertutto. Dobbiamo sollevare da terra la parola "Dio", ridarle una buona fama.

Dobbiamo pensare e presentare un Dio che crede nell’uomo e lo vuole protagonista; un Dio disarmato, discreto, che bussa e attende; un Dio gioioso; un Dio il cui lavoro è amare e perdonare.  Dobbiamo dunque rinnovare il discorso su Dio perché si rinnovi l’incontro con Lui. Deve essere un discorso serio, che coinvolge l’esistenza; deve risultare significativo, proponibile.

Il dono del timore di Dio aiuta ad elaborare questo efficace antidoto alla indifferenza religiosa del nostro tempo (la mancanza di interesse nei confronti di Dio), più diffusa della negazione della sua esistenza (ateismo). In forte crescita sono la superstizione, la magia, l’astrologia, la cartomanzia... e diventano oggetti di culto (idoli) il successo, il denaro, il potere, la carriera, il corpo, il look: tutti surrogati di Dio.

In quest’impegnativa impresa ci viene in aiuto lo Spirito Santo con il dono del «timore di Dio» È naturale che chi non teme Dio, chi non lo rispetta, non rispetti neppure gli uomini, e giunga a calpestarli. La storia ci urla questa terribile verità dai lager e gulag, dalle infinite guerre, dalle città distrutte, dai genocidi... Chi teme Dio, chi lo rispetta e lo ama, rispetterà e amerà anche l’uomo, che vede come figlio di Dio e suo fratello.

Sir 1, 9 - 18 «Il timore del Signore è gloria e vanto. ... Per chi teme Dio andrà bene alla fine. ... Principio della sapienza è il timore del Signore. Pienezza della sapienza è il Timore del Signore. Corona della sapienza è il timore del Signore. Radice della sapienza è il timore del Signore».

Frutto del Timore del Signore è la coerenza.


CITAZIONI

Chi costruisce?

Chi, passando per le piazze di alcune delle nostre città, non si è fermato un attimo il naso all'insù per rimirare la mole immensa e bellissima di una cattedrale?

Chi non si è stupito della cura con cui tutto veniva fatto, per cui anche l'ultimo intaglio invisibile in alto sulla guglia era rifinito con lo stesso impegno di quelli ad altezza occhi?

Ma... Chi costruisce la cattedrali?

I nobili? I ricchi mercanti? O un popolo?

Di fronte a questa domanda c'è chi si mette a scrivere saggi e imbastire teorie.

Di fronte a questa domanda c'è invece chi si mette a spulciare gli Annali della Fabbrica del Duomo di Milano del 1400 per avere una risposta reale, come Martina Saltamacchia, che ne ha fatto una tesi e un articolo per "Tracce" di Maggio (2005).

«Lo scoraggiamento iniziale per l'incomprensibilità delle scritture e la lunga e ripetitiva trascrizione di cifre si è presto trasformato in impagabile commozione man mano che da quegli inchiostri sbiaditi cominciavano a far capolino innumerevoli storie di uomini e donne mossi quotidianamente a piccoli grandi atti di carità. (...) All'uomo medioevale è ben chiaro come tutto concorra alla Costruzione: come ogni gesto, per quanto banale o umile, nell'offerta acquista un valore eterno, così ogni bene, anche il più insignificante, serve all'edificazione della cattedrale. (...)

Notai, speziali, pescatori, orefici, fornai, mugnai, macellai prestavano gratuitamente le loro braccia per scavare le fondamenta. Ingegneri ed operai del cantiere devolvevano talvolta in offerta il loro salario, o vi rinunciavano in cambio di un'indulgenza per i loro peccati. Le prostitute, terminato il loro giro notturno, deponevano una parte del ricavato sull'altare. (...)

Solo nel'anno 1400 sono cira 8.000 le donazioni raccolte, in denaro  o in natura, per un valore totale di oltre 42.000 lire dell'epoca. Cifra assai ragguardevole, se si pensa che, oltre a costituire poco meno di un terzo delle entrate, copre la quasi totalità delle ingenti spese per il gigantesco cantiere, in cui gli operai ricevevano in media 3 lire al mese."

A conti fatti, il duca contribuisce solo per il 16% al costo dell'immane fabbrica. «È dunque a una folla di gente comune che si deve l'edificazione del Duomo di Milano, uomini e donne ben lieti di dare tutto ciò che avevano per un opera che, ben sapevano, mai i loro occhi avrebbero potuto contemplare ultimata. Uomini e donne ricchi soltanto di un'incrollabile fede, certi soltanto di dove fissare il proprio cuore».


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