FAQ

Questa è una sezione di FAQ (Frequently Asked Questions, domande poste di frequente) un po' anomala: normalmente qui ci sono le domande sul funzionamento del sito. Invece, queste FAQ sono le domande che i ragazzi pongono, che di gruppo in gruppo spesso si ripetono e che richiedono - come tutte le domande poste dai ragazzi - una risposta il più possibile precisa.

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I giochi di ruolo fanno male?

GdRI Giochi di Ruolo fanno male? Nello specifico, D&D fa male? Porta a trasformarsi in adepti di sette strane, adoratori del demonio, operatori di sacrifici umani, calpestatori di aiuole?
La risposta breve è: no.
La risposta lunga è, ovviamente, un po' più complessa.

L'idea di fare un piccolo riassunto è nata dalla visita a un sito che definire curioso è come dire che Bill Gates è benestante e che ospita un “approfondimento dal punto di vista cristiano” sui giochi di ruolo. Solo che, a leggerlo, si scopre che l'approfondimento è approfondito quanto il Piave d'estate, e il punto di vista cristiano è quello che deriva da una concezione di cristianesimo che ben si attaglierebbe agli automatismi rituali tipici dell'islam o di qualunque altra religione che si risolve in un insieme di regole piuttosto che in un incontro (al quale semmai le regole sono propedeutiche, o conseguenti, ma non sostitutive).

Mi piacerebbe un giorno avere il tempo di smontare l'“approfondimento” pezzo per pezzo, e magari lo farò. Per intanto, spiego il perché della risposta breve.

Il punto cruciale è semplice: un gioco di ruolo non è un male in sé, per il semplice motivo che un gioco di ruolo, come dice il nome stesso, è una sorta di “teatro da tavolo”, un agire della fantasia, non dissimile dai giochi dei bambini quando dicono «Facciamo finta che io ero...» ma trasportato nell'adolescenza e anche nell'età matura. Perché? Perché a tutti piace creare storie, e possibilmente esserne protagonisti.
«Ma nei giochi di ruolo» si obietta spesso «si parla di demoni, fate, magia, mostri... Non è male tutto questo?». Chi fa questa domanda fa nascere in me l'immediato sospetto che creda che l'autore di Cappuccetto Rosso fosse davvero convinto che esistesse un lupo capace di travestirsi da nonna. O che l'autore di Cenerentola passasse le serata in attesa della Fata Madrina che ne migliorasse le condizioni.
Da che mondo è mondo, per lo meno dall'Odissea ma anche prima, le creature fantastiche e le avventure servono per dire qualcosa su questo mondo parlando d'altro; servono inoltre per soddisfare quella sete di creazione che l'uomo, in quanto collaboratore della creazione (come dice la Genesi) ha in sé. E come Dio ha creato un mondo con le parole, l'uomo crea il proprio con le proprie parole. Con una differenza importante: quello che dice un uomo non diventa automaticamente realtà concreta, ma questi mondi possono essere usati per svago, insegnamento, autocoscienza: perché nel gestire il personaggio di un gioco di ruolo si svela una buona parte di sé.

«Ma non potrebbe essere» ecco l'altra obiezione «che questa attività attragga comunque l'intervento del Maligno, il quale potrebbe far sì che uno preferisca vivere nel mondo di sua invenzione piuttosto che in quello reale?». Anche qui, chi obietta in questo modo deve passare molto tempo in una grotta senza incontrare alcuno. Pur conoscendo molti giocatori, non conosco nessuno che anche per un solo istante creda che quanto fatto durante il gioco sia vero. Invece, conoscendo molti tifosi di calcio, vedo che pressoché tutti antepongono la prossima partita a qualunque altra cosa, o idolatrano i giocatori riservando loro un'adorazione che non riservano a nessun altro. Di più. Conosco preti giocatori che sono i migliori al mondo nell'evangelizzare e saldi nella dottrina; e conosco preti tifosi di calcio capaci di dimenticare tutto per una sera allo stadio, o per i quali l'educazione degli adolescenti si riduce nel portarli con sé al suddetto stadio e insultare (non per modo di dire) insieme la squadra avversaria.
Non è perché un gioco parla di demoni che il Demonio si trova facilitato a carpire anime: se la cava benissimo con le passioni “socialmente accettabili”.

Poi, certo, non dubito che esistano casi deviati di persone che sacrificano al gioco di ruolo tutto il loro tempo, così come c'è chi lo fa con il gioco d'azzardo, il calcio (raramente con gli altri sport) o qualunque attività in grado di compensare il loro senso di inadeguatezza nella vita reale. È gente che ha già problemi di suo e che, nel caso, sarebbe capace di farsi influenzare anche da Topolino.

Come dicevamo all'inizio: tutto sta nel modo in cui si intende un gioco di ruolo. Se è un modo di raccontarsi storie – anzi, di creare insieme delle storie – esattamente nel modo in cui sono nati i miti dell'antichità o le fiabe dei secoli passati, e in questo modo passare del buon tempo insieme, allora non si può correre alcun pericolo nemmeno trattando di diavoli cornuti, perché la storia resta tale, ben lontana dalla realtà. Se invece lo si prende come un rimedio al senso di inadeguatezza provato nella vita reale, allora possono sorgere i problemi; ma essi non sono connaturati al gioco di ruolo: un'occhiata al mondo dimostra che qualunque cosa può assolvere a questa funzione, ed essere in tal modo pericolosa.

Per conto mio, e per conto dei molti che conosco e frequento, tratto il gioco di ruolo nella maniera descritta magistralmente da Andrew Rilstone (con molte opinioni del quale in altri campi, devo ammetterlo, non sono d'accordo; ma in questo caso lo sono totalmente) nel 1996, e che riporto qui sotto – senza l'intenzione di infrangere alcun copyright, va da sé: il testo viene da un file .odt che stava da tempo nel mio hard disk perché, avendolo trovato in Rete tanto tempo fa ed essendomi piaciuto, ho deciso di salvarlo. Persino chi gioca solo per crearsi il personaggio più potente nasce con questa concezione. La realtà è che chi ha scritto quell'“approfondimento” non ha mai conosciuto un giocatore né visto come funziona un gioco di ruolo, oltre a dimostrare una certa ignoranza dell'argomento “fantasy” in alcuni punti.

Ad ogni modo, eccolo qua.

COME SPIEGARE ALLA NONNA CHE COSA SONO I GIOCHI DI RUOLO

Siate sinceri: non temete anche voi che prima o poi la nonna alzerà gli occhi dal suo lavoro a maglia e vi chiederà: “Di’ un po’, cosa sono esattamente quei giochi che fate tu e i tuoi amici?” Andrew Rilstone ci spiega come uscire indenni da questa imbarazzante situazione!

Come spiegare alla nonna cosa sono i giochi di ruolo.

Dovendo rispondere a questa domanda mi vengono in mente un sacco di risposte inadeguate, ma la peggiore è certamente “Be’, nonna, i giochi di ruolo sono una riscoperta delle tradizioni dell’età della pietra sulla creazione interattiva di miti.” Potrebbe essere ciò che c’è scritto nel manuale del vostro gioco preferito, alla voce “Cos’è un GdR”, ma la nonna non sa di cosa state parlando. In effetti, credo che non lo sappia nessun altro.

Ok, riproviamoci: “Ah, i GdR? Sono forti, sai? L’altra settimana ho inseguito l’Unicorno Nero fino alle Paludi Maledette.” No, non ci siamo neanche stavolta. La nonna avrà l’impressione che vi mettiate dei vestiti bizzarri e partecipiate a una specie di rievocazione medievale. E non pensiate di provare a dirle che si svolge tutto nelle vostre teste: penserà che vi droghiate.

Non sto dicendo che la nonna è stupida, attenzione. Sa benissimo cos’è un gioco. Gioca a briscola e rubamazzo da una vita e una volta ha giocato a Monopoli nel lontano ‘54. All’epoca pensava che quattro pagine di regole fossero un tantino eccessive, ragion per cui non crederà alle sue orecchie quando le direte che il vostro GdR preferito conta fino a tre volumi.

E rimarrà completamente scandalizzata quando le direte che una buona sessione di gioco dura circa cinque ore. Nel lontano ‘54 un’ora e mezzo di gioco al Monopoli era già molto… eh già, non è più come una volta.

Ma in ogni caso non fatele mai capire, per nessun motivo, che ogni sessione di gioco è la continuazione di quella della settimana precedente! La nonna non ha letto la Dungeon Master’s Guide e quindi non sa cos’è una campagna. Non mi sorprenderei più di tanto se le tante crociate puritano-moralistiche contro i GdR fossero nate da una nonna che, fraintendendo il nipote, abbia detto al suo pastore che “a volte i giovani praticano questi giochi per qualcosa come cinque anni di seguito …”

La nonna sa anche che i giochi hanno un tabellone e che lo scopo del gioco è sconfiggere gli altri giocatori: sarà dura spiegarle che le cose non stanno così. In realtà molte persone hanno le idee poco chiare su questo punto. Una volta ho visto un film su un giovane teppista, il cui unico hobby consisteva nel disporre miniature sul “tabellone” di Dungeons & Dragons. E quei pazzoidi dei predicatori americani si riferiscono ai GdR definendoli “board game occulti”.

Potreste passare il resto della vostra vita (o perlomeno il resto della vita della nonna) a spiegarle che i giochi di ruolo sono basati sull’interpretazione e l’interazione; che i personaggi devono collaborare tra loro, non ostacolarsi a vicenda (sì, davvero!); e che il motivo per cui giocate è semplicemente per divertirvi, che non ve ne viene in tasca niente. La povera vecchietta arriverà alla conclusione che i giochi di ruolo sono giochi su tabellone senza il tabellone e che dopo cinque anni finiscono immancabilmente con un pareggio. Giunta a questo punto, la nonna tornerà a rammendare i calzini di zio Odoardo, convinta che i giovani siano sempre più imperscrutabili… e probabilmente dirà che le sembra un’inutile perdita di tempo.

In realtà la causa dei problemi sta nel termine “gioco”. La maggior parte della gente non ha giocato a nulla di più complesso di Trivial Pursuit, per cui non stupiamoci troppo se i GdR sembrano così strani e incomprensibili.

Però sono convinto che se smettessimo di usare per il nostro hobby un gergo così complicato, centinaia di normali esseri umani vorrebbero unirsi a noi. Quindi, la risposta migliore che possiate dare alla nonna è “Be’, in realtà non sono proprio dei giochi.”
“E cosa sono allora?”
Ed ecco il colpo da maestro. “Sono ciò che si faceva una volta, come ci hai sempre raccontato tu. Ci creiamo da soli le nostre storie. Adesso ti spiego come si fa.”

“Immagina di essere una giovane nobildonna inglese ai tempi della Regina Elisabetta. E’ mattino presto, e hai appena visto uno sconosciuto aggirarsi nei pressi del tuo castello. Ora, prova un po’ a pensare… tu che cosa faresti?”
La nonna abbandona un attimo i ferri e i calzini di zio Odoardo. “Mah, penso che innanzitutto chiamerei i miei servitori.”
“Bene. Lo sconosciuto entra, ti getta una lettera sigillata e corre giù per le scale, rincorso dai servitori.”
“E cosa c’è scritto nella lettera?”
Capito il trucco? Solo che usando questo approccio si corre il rischio di incappare in due inconvenienti.
Volete passare le prossime cinque ore improvvisando uno scenario in cui vostra nonna fa affondare l’Invincibile Armada spagnola e sposa Sir Francis Drake?
E volete davvero essere gli unici a portare un’anziana signora alla prossima sessione di gioco del vostro gruppo?

(© 1996 Andrew Rilstone, first published in Arcane magazine #3)

Santa Martina? Chi era costei?

SANTA MARTINA

o
di come distruggere gli edifici pubblici di Roma e
nonostante questo diventare patroni della Città

 

Santa MartinaDella povera santa Martina, martire del III secolo, non si sa granché. Forse è stata messa in ombra dal suo omonimo maschile san Martino di Tours il quale, peraltro, anziché essere noto per essere stato vescovo, uomo di profonda fede ed evangelizzatore delle campagne, è conosciuto perché, da giovane soldato, si dilettava di sartoria in favore dei poveri.

Torniamo a Martina, in ogni caso. Dopo che furono trascorsi secoli di silenzio dalla morte della santa, di cui ci si ricordava ormai poco, nel VII secolo papa Onorio I le dedicò una chiesa nel Foro (l'attuale chiesa dei Santi Luca e Martina) basandosi sulle iscrizioni trovate sugli edifici presenti in quel luogo, iscrizioni che testimoniavano la presenza del corpo di lei lì sepolto. Vi sono poi fonti circa una festa in onore della santa nell'VIII secolo.

Nel XIII secolo, del corpo di Martina s'erano perse le tracce. Sì, certo, la chiesa di Santa Martina esisteva ancora, ma nessuno ricordava più se lei fosse sepolta proprio lì o da un'altra parte. Così furono tutti ben contenti quando, durante una serie di scavi, ne trovarono lo scheletro in una cassa di terracotta (con la testa conservata in un bacile di rame) insieme a quelli di due compagni martiri, Concordio ed Epifanio, e a quello di un terzo il cui proprietario era – ed è tuttora – sconosciuto. I resti di Martina (facilmente riconoscibili, in quanto gli unici femminili) erano separati da quelli degli altri tre da una lastra di terracotta e una di marmo; quest'ultima riportava in latino la scritta che identificava i corpi di Martina, Concordio ed Epifanio, ma già si limitava a definire “un loro compagno” il quarto uomo lì sepolto. Nel 1256 papa Alessandro IV riconsacrò la chiesa e così, negli ultimi secoli del Medioevo, tutti sapevano dove fosse la tomba di santa Martina.

Nel XVII secolo, del corpo di Martina s'erano perse le tracce. Di nuovo. Nel 1634 papa Urbano VIII decise di restaurare la chiesa di Santa Martina – che ne aveva un gran bisogno – e lo scheletro della santa venne ritrovato per la seconda volta, nuovamente per un caso fortuito – o provvidenziale.

In realtà anche se, con il tempo, nella gente s'era persa la memoria della vita di Martina e non esisteva più, a calendario, una festa a lei dedicata, alcune notizie erano rimaste: basandosi su queste Urbano VIII fissò la celebrazione della sua memoria al 30 gennaio (anche se pare che sia morta il 1° gennaio) e la iscrisse tra le patrone di Roma, probabilmente nella speranza che una santa "da calendario" e per di più con la responsabilità della Città Eterna avesse meno probabilità di veder smarriti i propri resti.

Le informazioni utilizzate dal papa – che sono anche le uniche rimaste su Martina – provenivano da una Passio, composta da un autore anonimo e che contiene probabilmente elementi leggendari (anche perché le circostanze del martirio sono sospettosamente simili a quelle di altre sante, come Tatiana e Prisca).

Comunque, stando alla Passio Martina era una diaconessa vissuta nel III secolo e figlia di un nobile eletto console per tre volte. Rimasta orfana in età molto giovane (qualcuno dice addirittura che avesse solo 12 anni quando morì) ereditò l'ingente fortuna dei genitori, che donò interamente a poveri; poi incontrò il prefetto dell'Urbe, Domizio Ulpiano, che per ragioni sue odiava i cristiani, e iniziarono i guai.

Per aver professato apertamente la propria fede, infatti, nel 228 venne condotta dal prefetto dinanzi al tribunale dell'imperatore Alessandro Severo.
Nonostante il nome, Alessandro non era poi così Severo: per cercare di "integrare" la religione cristiana nell'impero (o, più banalmente, "perché non si sa mai") aveva incluso Cristo tra gli dèi venerati dalla famiglia imperiale. Durante il suo regno, poi, non ci furono grandi persecuzioni e la Chiesa poté espandersi nell'impero. Santa Martina, insomma, dev'essere stata alquanto sfortunata: è riuscita a farsi uccidere in una delle epoche più tranquille per la Chiesa prima di Costantino.

Sebbene quindi il clima generale non fosse ostile ai cristiani, dopo l'arresto Ulpiano fece portare Martina davanti alla statua di Apollo nel tempio dedicato al dio, imponendole di prostrarsi per dimostrare di credere negli dèi, rifiutando la fede cristiana.

Santa MartinaMartina, non appena fu davanti alla statua, si fece il segno della croce e iniziò a pregare. La statua andò in pezzi. I presenti fecero un balzo ma non ebbero il tempo di chiedersi che cosa diavolo stesse succedendo perché immediatamente ci fu un terribile terremoto che rase al suolo il tempio, incidentalmente uccidendo tutti i sacerdoti di Apollo e una buona dose di quanti si trovavano lì in quel momento.

Ulpiano non si dette per vinto. Voglio dire: vabbé, Apollo potrà anche distrarsi e farsi umiliare così, ma lui avrebbe comunque avuto ragione di quella pazza pericolosa. Pericolosa perché, oltre a burlarsi degli dei, ne faceva crollare i templi, a quanto pareva...

Martina venne dunque torturata impiegando una notevole varietà di metodi, adottati nell'inutile tentativo di costringerla ad abbandonare la religione cristiana.
Anzi, a dirla tutta la santa rappresentò un vero problema per i suoi torturatori. Questi iniziarono con una di solito efficace fustigazione, ma Martina ne uscì illesa. Visto che la prima opzione era fallita tra la perplessità dei fustigatori, venne attuato il piano B: Martina fu colpita ripetutamente con il flagello uncinato e poi le vennero strappati brani di carne con delle tenaglie, ma anche qui non si ottennero dei risultati.
Dev'essere deprimente, per un esperto torturatore, strappare pezzi di carne al corpo di un prigioniero, vederlo soffrire tormenti indicibili e constatare che, nonostante tutto ciò, quello non solo continua ad avere fede nel suo Dio ma per di più le ferite scompaiono come se non ci fossero mai state.

Visto che la coercizione fisica sembrava non ottenere risultati e ormai a corto di idee, i torturatori decisero di far intervenire personalmente, e per la seconda volta, gli dèi. O forse speravano che, avendone comunque prese tante, ormai si sarebbe piegata al paganesimo. Non si rivolsero ad Apollo, però, no: aveva già fallito, e poi aveva un tempio da ricostruire. Magari avrebbe funzionato meglio Diana, al cui tempio la portarono dopo averle fatto passare qualche giorno nel carcere Mamertino (non esattamente un ridente luogo di villeggiatura).

Fu una pessima idea: la santa, appena entrata nel tempio, ordinò al demonio di abbandonare la statua della dea. La statua va in pezzi, scoppia un terremoto, il tempio crolla, sacerdoti e presenti ci rimettono la pelle mentre la diaconessa resta illesa. Come da programma.
Ormai Martina non era più soltanto una cristiana svitata e sovversiva: era ufficialmente anche un pericolo per gli edifici pubblici di Roma, per non parlare della gente che li frequentava.
Il fatto che lei uscissero illesa da ogni distruzione - mentre i poveri sacerdoti, che in fondo non c'entravano niente, venivano allegramente massacrati insieme agli astanti - anziché spingere Ulpiano a fermarsi un momento a riflettere lo fece infuriare ancora di più.
Santa MartinaProvarono nuove torture: la lapidarono con cocci, tegole e mattoni e poi, per giusta misura, le infilzarono tutte le membra con spilloni appuntiti. Inutile dire che Martina uscì da questo trattamento senza nemmeno un segno. I suoi persecutori, ormai sull'orlo dell'esaurimento nervoso, provarono a immergerla nel grasso bollente: la santa ne uscì unta, ma viva. Allora la portarono nel circo perché fosse sbranata dalle fiere, ma queste non si degnarono nemmeno di assaggiarla; anzi, le si accucciarono ai piedi come dei gatti un po' troppo cresciuti. L'ultimo tentativo – gettare la diaconessa nel fuoco – fallì miseramente come i precedenti.

Dato che a quel punto era evidente che con le cattive non si cavava nulla e che nessuno dei sacerdoti degli altri dèi voleva avere a che fare con quel cataclisma ambulante, al prefetto, sfinito perché non riusciva ad avere ragione di lei e del suo Dio, venne in mente che una sola cosa non aveva ancora tentato: tagliarle la testa. Dopotutto quella non aveva alcuna intenzione di abiurare: tanto valeva ucciderla.
Ulpiano ordinò di scortarla al decimo miglio della via Ostiense – facendo attenzione, possiamo immaginare, perché non guardasse nemmeno di striscio i vari templi che potesse incontrare nel tragitto – e di decapitarla. Proprio mentre il boia stava per colpire scoppiarono tuoni in cielo e il terremoto tornò a farsi sentire, fuoco dal cielo colpì i templi degli dèi, distruggendone i simulacri, e apparve una visione della reggia celeste di Dio. Tutto ciò non fece che mettere fretta al carnefice. La spada staccò di netto la testa di Martina dal corpo: latte e sangue sgorgarono dalle ferite e un odore dolcissimo, proveniente dal corpo della santa, si diffuse nell'aria.
La morte di santa Martina, con tutti i prodigi che la accompagnarono, fu nei giorni seguenti la causa di moltissime conversioni nella Città. E i sacerdoti degli dèi pagani – quelli scampati alla distruzione, almeno – ricominciarono a respirare liberamente.

Il corpo di Martina rimase insepolto per sette giorni, ma due aquile rimasero a vegliarlo finché fu raccolto dal papa Urbano I (o dal vescovo Retorio) e sepolto lì vicino, in una zona adibita a “cimitero dei martiri”.
Nel 237 papa Antero (o più probabilmente il suo successore Fabiano, visto che Antero morì nel 236) ebbe una visione: santa Martina gli apparve per dirgli che doveva dare una sepoltura più degna al suo corpo, di cui in così breve tempo s'erano perse le tracce (come diventerà abitudine nei secoli successivi), e di cercarlo al cimitero dei martiri della via Ostiense.
Chiesa dei Santi Luca e MartinaAntero si assicurò che la visione non fosse colpa della peperonata della sera prima e fece come gli era stato detto: raccolse i resti di Martina insieme a quelli di Epifanio, Concordio e di un loro compagno, e lì seppellì in un trionfo posto vicino al tempio di Marte, nei pressi del carcere Mamertino, alle falde del Campidoglio.
All'inizio del '300, dopo l'editto di Costantino, il tempio venne sostituito da una chiesa per ordine di papa Silvestro I e il trionfo vi fu incorporato. La chiesa venne quindi intitolata a Santa Martina. È questo l'edificio su cui Onorio I costruì in seguito la chiesa del VII secolo.

Martina viene rappresentata, oltre che insieme a un giglio (che ne rappresenta la verginità) e alla palma (simbolo del martirio), con un paio di tenaglie (o un attrezzo che somiglia a un piede di porco) e una spada, ossia gli strumenti della sua sofferenza e morte.

Il culto di santa Martina, vergine e martire, è presente in modo particolare a Martina Franca (Taranto), dove alcuni frammenti ossei della santa giunsero nel 1730 inviati dal cardinal Tommaso Innico Caracciolo: il cardinale, titolare della chiesa dei Santi Luca e Martina, volle donare le reliquie alla città che portava lo stesso nome della santa.

In onore di Santa Martina Urbano VIII ha composto questo inno:

Martinae celebri plaudite nomini,
Cives Romulei, plaudite gloriae:
Insignem meritis dicite Virginem,
Christi dicite Martyrem.

Haec dum conspicuis orta parentibus,
Inter delicias, inter amabiles
Luxus illecebras ditibus affluit
Faustae muneribus domus:

Vitae despiciens commoda, dedicat
Se rerum Domino, et munifica manu
Christi pauperibus distribuens opes,
Quaerit praemia Coelitum.

Non illam crucians ungula, non ferae,
Non virgae horribili vulnere commovent;
Hinc lapsi e Superum sedibus Angeli
Coelesti dape recreant.

Quin et deposita saevitie leo
Se rictu placido proicit ad pedes;
Te, Martina, tamen dans gladius neci
Coeli coetibus inserit.

Te thuris redolens ara vaporibus,
Quae fumat, precibus iugiter invocat,
Et falsum perimens auspicium, tui
Delet nominis omine.

A nobis abigas lubrica gaudia,
Tu qui Martyribus dexter ades, Deus
Une et Trine: tuis da famulis iubar,
Quo clemens animos beas. Amen.

Traduzione:

Acclamate il nome splendido di Martina,
Acclamatene la gloria, cittadini figli di Romolo:
Celebrate la Vergine, gloriosa per i suoi meriti,
Celebrate la martire di Cristo.

Ella, nata da nobili genitori,
tra le delizie, tra le piacevoli
lusinghe del lusso possiede in abbondanza i ricchi
beni della prospera casa:

disprezzando gli agi della vita, dedica
se stessa al Signore di tutto e con mano generosa
distribuendo ricchezze ai poveri di Cristo
cerca i premi del Cielo.

Né gli artigli né le fiere la tormentano,
né le verghe, infliggendole orribili ferite, la piegano;
poi gli Angeli, discesi dalle sedi eterne,
la confortano con il banchetto del cielo.

E in realtà, abbandonata ogni crudeltà, il leone
si getta ai suoi piedi, le fauci placidamente richiuse;
Ma te, Martina, la spada, dandoti la morte,
fa entrare nelle schiere del cielo.

A te l'altare fumante, mentre dei vapori d'incenso profuma,
eleva preghiere senza interruzione
e, annientando la falsa idolatria,
la cancella con il segno del tuo nome.

Allontana da noi i falsi piaceri
Tu che propizio ti fai vicino ai Martiri, o Dio
Uno e Trino: concedi ai tuoi servi lo splendore
 con il quale, clemente, rendi felici gli animi. Amen.

 


La ricostruzione qui fatta della vita di santa Martina è un tentativo di armonizzare le fonti per ottenere un racconto coerente. Tali fonti sono principalmente il Breviario Romano (che attinge alla Passio) e le Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, scritte nel 1823 da Melchiorre Missirini, che riassumono in italiano la Passio di cui purtroppo non riesco a trovare il testo, se non pochi brani citati in Roma sotterranea di Antonio Bosio Romano, 1710. Motore delle ricerche è stata la – un po' imprecisa, ma preziosa – vita di Santa Martina come scritta nel sito www.santiebeati.it.

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