Il materiale degli incontri dopo Natale, fino alla Cresima.
Incontro del 6 febbraio.
Credo che ogni catechista abbia l'incubo di come spiegare la Trinità ai bambini. Si immagina davanti a un gruppo che, silente, lo fissa (e già qui si dovrebbe intuire che suddetto catechista ha ormai perso il contatto con la realtà) mentre non sa che pesci pigliare e rivoli di sudore diaccio gli colano lungo la schiena.
Come abbiamo fatto noi? Beh, certi del fatto che se Dio ci ha svelato la Trinità proprio perché non poteva farne a meno, ossia perché lui *è* cosi, abbiamo fatto come per tutte le cose importanti: giocando. Nella fattispecie, abbiamo improvvisato una specie di Art Attack.
Ognuno è stato fornito di tre strisce di carta della stessa lunghezza, e di colla. Obiettivo: usare le tre strisce per formare una sfera. Chiaramente non avevano ancora a disposizione l'immagine qua sotto, che semplifica il compito.
L'idea è che una sfera non può dirsi tale senza una delle tre strisce. Così come Dio non è più Dio "senza" una delle Tre Persone. Semplicemente non si può "toglierne una". Eppure sono distinte, come sono distinte le strisce. E c'è una "colla" speciale che le tiene insieme: Dio è in sé stesso una comunità, l'Amore perfetto è ciò che fa esistere Dio, Dio è ciò che fa esistere l'Amore, perché Dio è Amore.
In seguito (credo l'incontro successivo o giù di lì), visto che la cosa ancora non era proprio chiarissima, abbiamo utilizzato anche l'esempio delle tre candele accese. Ognuna ha una fiamma, distinta dalle altre. Eppure, di tutte e tre, si può dire che sono "fuoco". Tre persone, una sostanza. Sarà incredibile ma tra questo, la sfera e il trifoglio, qualcuno aveva capito, allora. Adesso avrei paura a chiedere...
Inizia la seconda parte del nostro percorso, cambia il titolo in alto a sinistra: diventa Lo Spirito e La Sposa.
Il richiamo al percorso speciale non è solo evidente: è voluto. Come è inutile reinventare la ruota ogni volta, così gli incontri allora preparati possono essere riutilizzati, aggiustandoli un po'.
Iniziamo a parlare dello Spirito, e lo facciamo ponendoci una delle domande più difficili che ci si possa porre: com'è fatto Dio? Com'è possibile che sia Padre, Figlio e Spirito Santo, in tre persone uguali e distinte?
La questione - dobbiamo ammetterlo - ci ha tenuti impegnati per un po' e, stando agli ultimi incontri, non sembra del tutto risolta. Prevedibile, direi.
«Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, diremo mai la verità?»
Albert Schweitzer
Dio è amore, ce lo ha detto Gesù. Uno solo è Dio, in tre persone uguali e distinte: Padre e Figlio e Spirito Santo.
Che cos'è lo Spirito Santo? È la corrente d’amore che passa tra Padre e Figlio, che procede dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. Lo Spirito Santo, come il Figlio, non è creato dal Padre, non è creatura, ma della sua stessa sostanza. È la terza persona della Trinità. Certo, è difficile da capire cosa sia la Trinità, com'è possibile che Dio sia Uno e Tre contemporaneamente.
Ci può essere d’aiuto l’immagine del trifoglio, tre foglie che fanno una sola pianta «Come un trifoglio è composto da tre lembi e senza anche solo uno di questi lembi un trifoglio non è più tale, così vale per la Trinità, che è Padre, Figlio e Spirito Santo» (Attribuito a S. Patrizio).
Tre cerchi che generano una sfera, uguali eppure diversi e distinti, come equatore e meridiani di Dio.
Badate bene: non sono tre dèi, c'è un unico Dio; e non è neanche un solo Dio che "cambia il cappello" a seconda delle circostanze.
Essendo stati fatti ad immagine di Dio anche in noi agisce quell'unità, anche noi tendiamo a quell'amore perfetto. Quell'amore che ci ha creati, che ci ha salvati, che ci mantiene presso di Lui, e che ricordiamo tutte le volte che ci facciamo il segno della croce.
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06. Riceverete la forza dallo Spirito Santo | 630.01 KB |
Incontro del 13 febbraio.
Avete mai provato a far mimare a dei ragazzi di prima media concetti come "intelletto", o "sapienza", o "scienza"? Senza peraltro dare indicazioni su come fare o su perché farlo? Ecco, noi abbiamo provato, e abbiamo visto cose che voi umani... Forse non saremo proprio ortodossi, ma ci siamo divertiti parecchio. E abbiamo persino capito.
Ma come agisce questo Spirito Santo? In soldoni, che cosa ce ne facciamo?
I "sette doni" rispondono a queste domande. Ci dicono la cura, l'attenzione per ognuno di noi che Dio ha. La promessa di Gesù, quella dell'invio del Consolatore, trova piena realizzazione nei doni che il Paraclito elargisce a ognuno di noi: lo Spirito è Dio che non ci abbandona da soli ad affrontare la vita, ma ci indica, ci consiglia, ci sprona, ci dà ogni mezzo.
Sapienza, Scienza e Intelletto sono i doni che più di altri richiamano l'uso della ragione. Perché la nostra vita si realizzi, perché la nostra gioia sia piena, siamo chiamati a usare quel grosso melone che abbiamo piantato tra le spalle. Non è di bellezza, sapete?
Naturalmente questa scheda non è altro che una riproposizione/riduzione dell'omonimo incontro del percorso «Lo Spirito e La Sposa».
«Più uno è intelligente, più sono le persone che uno trova originali:
la gente ordinaria non vede differenza tra gli uomini»
Blaise Pascal
La nostra vita può essere paragonata ad una barca priva di motore e spinta a fatica a remi dai rematori; se si aggiungono delle vele gonfiate dal vento, tutto diventa molto più semplice. Noi siamo i rematori, i remi rappresentano il nostro impegno di vivere, le vele rappresentano i doni dello Spirito Santo e il soffio del vento è lo Spirito Santo.
I doni dello Spirito Santo sono sette, il numero che nella Bibbia rappresenta la perfezione, la completezza, come a dire che riassumono tutte le possibili varianti delle caratteristiche positive. Non sono stati "inventati": è la Bibbia che ce li presenta, quando annuncia il Messia, germoglio di Iesse (Is 11,2).
È interessante notare che nell’originale ebraico erano nominati solo sei doni: manca la pietà. Quando è stata preparata la versione greca chiamata "dei Settanta" (circa un secolo prima di Cristo), essi introdussero anche la pietà perché nella lingua greca il termine "timore di Dio" non rendeva la pienezza di significati del corrispondente ebraico.
Lo Spirito Santo è presente in tutta la storia della Salvezza. Agisce nella storia, è vicino agli uomini. È Dio che non ci lascia mai soli, ci dà il proprio sostegno. Partendo dai doni che ci elargisce possiamo scoprire qualcosa di lui.
I primi tre doni che vediamo sono, in un certo senso, collegati tra loro: riguardano il rapporto tra noi e la nostra intelligenza, l'uso che facciamo delle nostre capacità, e la possibilità che abbiamo di capire il mondo e, capendolo, arrivare al Dio che ci ama e ci ha voluti qui.
Il dono dell'Intelletto (intus legĕre, leggere all'interno, in profondità) ci aiuta a non essere superficiali, ma ad arrivare al cuore delle cose. Questo dono può agire in diversi modi: può darci la capacità di conoscere noi stessi e affrontare coscientemente ciò che in noi non va, oppure di conoscere e capire a fondo gli altri, ma può essere anche l’intelligenza spirituale per leggere la Bibbia fra le righe e ricavarne un nutrimento di vita. È il dono della "profondità" contro la "superficialità", dell'"essere" contro l'"apparire". Ci aiuta a distinguere il vero dal falso.
La Sapienza (sapĕre, avere sapore) è il dono che ci concede il gusto della conoscenza del creato e quindi del suo Creatore, Dio, per conoscerlo e amarlo. Essa ci aiuta soprattutto a saper distinguere il sapore delle cose, il bene dal male. Non basta avere tante cose: bisogna sapere anche come usarle, e per che cosa usarle. La sapienza è il dono che illumina il cuore.
Questo dono può essere espresso anche col termine "conoscenza" che nella Bibbia significa anche "amare". Chi ama capisce meglio, capisce prima, capisce di più. Il dono della Scienza insegna ad amare una persona se la si vuole capire e anche Dio lo si comprende solo amandolo. Mentre nel nostro linguaggio "scienza" significa conoscenza umana di tipo tecnico, mediante la quale si arriva a dominare il mondo, nel linguaggio biblico "Scienza" è la capacità di conoscere il mondo, senza dominarlo, ma, al contrario, riconoscendo Dio come Creatore. Scienza dunque è la luce per vedere nelle cose e nelle persone la bellezza e la potenza di Dio, ma è anche la conoscenza che scaturisce dall'amore: il cuore che ama comprende più della mente. Il cuore si apre alla fiducia in Dio e accetta anche ciò che non si capisce (prove e dolore).
Un gruppo di eminenti scienziati si raduna e giunge alla conclusione che ormai la tecnica umana è così avanzata da potere fare a meno di Dio. Così scelgono la persona più rappresentativa tra di loro e la mandano da Dio a dirgli che può farsi da parte. Lo scienziato va da Dio e gli dice: «Dio, abbiamo deciso che non abbiamo più bisogno di Te. Adesso cloniamo la gente e facciamo cose miracolose, quindi perché non ti ritiri e basta?».
Dio ascolta con pazienza e poi dice: «Va bene, però prima facciamo una gara di creazione dell'Uomo». Al che lo scienziato replica: «Ok, ci sto!».
Ma Dio aggiunge: «Però facciamo come ai vecchi tempi della creazione di Adamo». Lo scienziato dice: «Nessun problema!», si china e raccoglie una manciata di terra.
Dio lo guarda e dice, scuotendo la testa: «No, No! Va a procurarti la TUA terra!»
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07. Sapienza, Scienza, Intelletto | 1.82 MB |
Incontro del 6 marzo.
Altri doni, altri mimi: visto il successo di questa modalità, testata la volta precedente, pareva stupido passare a qualcosa di diverso.
Beh, la chiave di lettura è sostanzialmente la stessa della volta precedente. Quanto alla "spiegazione" dei due doni di questa puntata, sta nel testo della scheda, ossia qua sotto.
Naturalmente ance questa scheda non è altro che una riproposizione/riduzione dell'omonimo incontro del percorso «Lo Spirito e La Sposa».
«La vita è la più bella delle avventure ma solo l'avventuriero lo scopre»
Gilbert Keith Chesterton
Nella Bibbia, la parola «consiglio» significa per lo più «progetto».
Su ogni uomo Dio ha un progetto: egli chiama ciascuno a realizzare qualcosa di unico e irripetibile. Dio non fa mai fotocopie! Il progetto di Dio su di noi non è un’imposizione, è invece una proposta di lavoro insieme: Dio sa qual è la via per la nostra riuscita nella vita, per la realizzazione piena della nostra personalità. Se noi la comprendiamo, l’accogliamo, c’impegniamo a seguirla, con intelligenza e amore, diventiamo «autentici», «veri»; diventiamo «unici», «irripetibili». Proprio come ci vuole Dio.
Purtroppo, ognuno mette al centro il proprio io, pensa a realizzare liberamente se stesso facendo leva sulle proprie forze, credendo così di raggiungere la felicità. Ma ogni cristiano vero può testimoniarci che è quando mettiamo al centro Dio che ce la facciamo. Eppure molti, in fin dei conti, non sanno concretamente che cosa farsene di Dio.
Non sentono il bisogno di lui, della sua parola che illumina, orienta, consiglia.. Eppure, per poco che ci pensiamo, e specialmente nei momenti più problematici e confusi della nostra vita, cogliamo tutta la nostra fragilità e precarietà: cogliamo il bisogno che abbiamo degli altri, e soprattutto di quell’Altro, che supera ogni limite umano, che può davvero «consigliarci»: Dio. Prezioso, insostituibile diventa per noi il dono del «consiglio», che porta sicurezza, fiducia, speranza nella nostra vita.
Ecco la preziosità del dono del «consiglio». Ci aiuta a deciderci nel modo giusto: a progettare il futuro, a proiettarci nel domani, a non sprecare le nostre risorse, ma a farle fruttificare al massimo, realizzando nel modo migliore il «progetto» di Dio su di noi, il suo grande «sogno». In questa «impresa» non siamo soli: è con noi lo Spirito Santo, con il dono del suo «consiglio». E noi, resi capaci di accogliere i «consigli» dello Spirito, diventiamo capaci di «consigliare» i nostri fratelli.
Uno scrittore dei primi secoli del Cristianesimo paragonava lo Spirito Santo all'allenatore e l'allenatore, si sa, prepara alla fatica.
Con il dono della «fortezza» lo Spirito Santo elargisce all’uomo coraggio, costanza, tenacia nel testimoniare la fede e nel fare il bene. Gli effetti di questo dono sono già chiaramente visibili nell’evento della Pentecoste, quando gli Apostoli sono resi coraggiosi nel testimoniare la risurrezione di Gesù.
Il dono della «fortezza» ha sostenuto gli Apostoli e i discepoli nelle persecuzioni subite a causa del Vangelo. E ha continuato, lungo i secoli, a sostenere i martiri nel momento della prova. Ma questo dono non è solo per il martirio «glorioso», «eccezionale», ma anche per il martirio «sommesso», «quotidiano», che coinvolge tutti attraverso la fedeltà all’ideale cristiano.
È quindi evidente la preziosità del dono della «fortezza»: se vogliamo aderire al progetto di Dio - fatto per la nostra felicità - si deve decisamente andare controcorrente: difficile che "il mondo" ce lo indichi. Ciò comporta fatica, ma lo Spirito Santo, con la «fortezza», è una garanzia.
Non si ha fede perché si è bravi. Si ha fede perché si segue un incontro che cambia la percezione della vita e il giudizio su di essa. Molti pensano che la fede sia una specie di test di capacità morali. Se raggiungi un certo punteggio hai fede. No, la fede è un evento, una differenza che entra nella vita innanzitutto come coscienza che non si è più soli e persi. Che non si è inutili. Nessuno. Non si è più persone qualunque, con un destino di creature finite. Si è figli desiderati. La fede è riconoscere che Dio ti da del tu, e dice: il tuo cuore, la tua persona intera sono fatti d'eterno. La fede è un colpo che separa dalla presunzione di salvarsi da soli. Di essere padroni di sé. Infatti, non i farisei, non i bravi, seguivano Gesù, ma coloro che sapevano d'esser poveretti. Poveri di vita, di significato adeguato al vivere. (da un articolo di Davide Rondoni, Avvenire del 26 Aprile 2005)
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08. Consiglio, Fortezza - PDF | 323.1 KB |
Incontro del 20 marzo.
Niente mimi, questa volta, ma una "visita" alla nostra chiesa parrocchiale (che è poi quella ritratta di fianco al titolo del sito, sulla linea dell'omonimo incontro de "Lo Spirito e la sposa". Per comodità, riportiamo anche qui la spiegazione della "logica" che sta dietro al progetto della chiesa.
È una chiesa moderna, di cemento armato, persino spoglia. Entrando, partendo dal fondo e avanzando lentamente, cercando di ignorare i quadri appesi di recente e riportando mentalmente il tabernacolo dov'era in origine, sull'altare, diventa chiara l'idea che aveva in mente chi l'ha progettata: tutto punta lì, all'altare, al tabernacolo, all'eucaristia, centro intorno al quale si sviluppa la Chiesa. Non ci sono distrazioni.
Arrivati davanti all'altare, vediamo che nella parte inferiore, sul pilastro che sostiene la mensa, sono raffigurati Maria e gli Apostoli: la Chiesa primitiva, intorno all'Eucaristia. A dire il vero c'è anche Gesù, ma si trova dietro, e tipicamente è visibile soltanto al sacerdote.
Al centro della mensa, l'abbiamo detto, c'era il tabernacolo. Ora, ogni volta che si celebra la Messa, c'è il Pane Consacrato. Nell'uno e nell'altro caso, la Chiesa primitiva è riunita intorno alla presenza reale di Gesù.
Ma c'è dell'altro. Proprio sopra l'altare - com'è evidente dalla prospettiva di chi entra - c'è e si sviluppa verso l'altro, come a prendere le mosse dall'Eucaristia, il popolo di Verghera raffigurato nel mosaico con il clero locale del tempo (don Mario, don Gianmario, mons. Giannazza) da un lato e, dall'altro, papa Paolo VI e l'Arcivescovo Colombo. Tutti insieme, la "Chiesa militante" di oggi, legata per discendenza alla Chiesa primitiva radunata intorno a Gesù.
Più sopra ancora, sempre nel mosaico, ecco Maria e gli angeli, raffigurazione della "Chiesa trionfante".
La struttura della nostra chiesa ci rimanda insomma all'intera storia della Chiesa cresciuta intorno alla pietra angolare, Gesù. Chi l'ha costruita sapeva da dove veniva, dai secoli che l'hanno preceduto, dalle testimonianze continue dell'amore di Dio per i suoi figli e dalla "società" che è nata da quest'amore, la Chiesa stessa. Sapeva che alla base di tutto è necessario che ci sia Gesù, il quale ha compiuto la rivelazione del volto di Dio Padre che provvede a noi con la cura propria del genitore, cui siamo chiamati a rispondere con affetto e rispetto.
Perché l'immagine del "padre" non è casuale: come verso i genitori nutriamo affetto ma anche rispetto, così verso Dio. Come dai genitori proviene tutto quello che abbiamo, la nostra educazione, la possibilità di crescere, così da Dio proviene tutto quello che siamo, la nostra stessa vita. Ed ecco che a Dio dobbiamo gli stessi sentimenti che abbiamo verso i nostri genitori: affetto e rispetto legati insieme, appunto, ossia quello che la Bibbia chiama "pietà e timore di Dio". E questo avviene "naturalmente" una volta che lo si incontra, lo si conosce, lo si ama.
Capire come è stata progettata e costruita la nostra chiesa (ma è una considerazione che vale per quasi tutte le chiese - meno certi obbrobri attuali, che al confronto la nostra è San Pietro), come la sua struttura stessa ci parli, ci ha aiutato a capire gli ultimi due doni, quelli che ci aiutano ad avere un rapporto corretto con Dio ossia, per essere più precisi, a considerare Dio per com'è realmente e non per quell'immagine fantasiosa e distorta che spesso e generalmente abbiamo in mente.
A questo si riallaccia il testo che ha chiuso il nostro incontro (che non abbiamo letto insieme, anche perché è forse un po' complicato - non me ne voglia l'autrice, che comunque come destinatari non aveva in menta ragazzi di prima media, ma in caso di riproposta dell'incontro andrà quantomeno riscritto): Gesù non è un ciuccio. È un apriscatole.
Anche perché Chi costruisce? l'abbiamo già usato in quinta elementare...
Naturalmente anche questa scheda non è altro che una riproposizione/riduzione dell'omonimo incontro del percorso «Lo Spirito e La Sposa».
«Il Signore non turba mai la pace dei suoi Figli se non per darne una maggiore»
don Luigi Orione
Questo dono non è tra quelli elencati nel testo ebraico d’Isaia. Lo troviamo nella Bibbia dei Settanta (traduzione in greco dell’Antico Testamento, fatta nel II secolo a.C.).
A noi il termine «Pietà» richiama anzitutto e soprattutto la compassione, la misericordia (in questo senso diciamo: «Ho pietà di», «Abbi pietà di me»). Nel linguaggio biblico, invece, «Pietà» esprime attaccamento filiale, il riferimento immediato è ovviamente ai genitori, ma l’allusione più alta è a Dio: il suo amore per noi supera immensamente quello del padre e della madre.
Il dono della «Pietà» ci fa scoprire il volto paterno di Dio in tutti gli avvenimenti della vita, sia in quelli sereni come in quelli tragici e porta a fidarci di Dio con lo stesso abbandono di un bambino che si sente sicuro tra le braccia del papà, anche quando è sospeso sull’abisso.
Os 11, 3 - 4 «Gli ho insegnato a camminare, l’ho tirato su fino alla mia guancia e mi sono chinato su di lui per dargli il mio cibo».
Questo rapporto con Dio ha conseguenza anche sul nostro rapporto con gli uomini. Ci fa sentire vicini agli altri, fratelli. Sensibili, senza sentirsi migliori perché la pietà porta sempre con sé l’umiltà. Frutti della pietà sono la preghiera e la solidarietà.
La Bibbia, mettendo insieme, i termini «timore» e «Dio», non vuole certo fare «terrorismo religioso», proponendo un Dio fondamentalmente giudice severo, che incute paura e non dà confidenza. Tale immagine di Dio sarebbe in netta contraddizione con quella padre buono e misericordioso, poiché Dio è Amore.
Il timore deve essere piuttosto inteso come affettuoso rispetto nei confronti di Dio, preoccupazione di non offenderlo con la nostra ingratitudine e con i nostri peccati, accurata attenzione a evitare tutto ciò che ci può allontanare da Lui, perché solo in Lui si realizza il progetto di felicità per noi.
Il rispetto per Lui esige ovviamente che vengano evitati la bestemmia e il nominare Dio inutilmente come pure il parlare a sproposito di Lui, il pensare e dire stupidaggini su di Lui. Cosa che facciamo quando lo immaginiamo e lo presentiamo come controllore del biglietto, guastafeste, esattore delle imposte, uno che trova il male dappertutto. Dobbiamo sollevare da terra la parola "Dio", ridarle una buona fama.
In quest’impegnativa impresa ci viene in aiuto lo Spirito Santo con il dono del «timore di Dio» È naturale che chi non teme Dio, chi non lo rispetta, non rispetti neppure gli uomini, e giunga a calpestarli.
Sir 1, 9 - 18 «Il timore del Signore è gloria e vanto». Frutto del Timore del Signore è la coerenza.
Certamente dire «Gesù, Gesù» non risolve i problemi. I problemi sono reali. Il punto è se Cristo è reale quanto i problemi, o di più, o di meno. Se davanti al problema il pensiero di Gesù è un rito, un conforto morale, un appoggio psicologico, allora Gesù è per noi come il ciuccio per il bambino.
Il ciuccio conforta perché ricorda al piccolo il suo primo piacere, succhiare il latte dalla mamma, che era un saziare insieme i suoi più impellenti bisogni, cibo e amore. Il ciuccio non dà latte, non è la mamma, ma gli assomiglia quanto basta. Ci si può rigirare il pensiero di Gesù nella testa come il bimbo il ciuccio in bocca. Non dico che sia privo di conforto, ma a quaranta, a sessanta, ad ottant'anni forse sarebbe ora di crescere e rinunciare al ciuccio, ed imparare a vivere ed affrontare i problemi. Se così fosse.
Se Gesù è un pio ricordo, un puro pensiero, l'esito di uno sforzo immaginativo mio, davanti al problema ho anche il problema di dovermi ricordare di Gesù. Ma se non abbiamo preso una cantonata a diventare suore, se Cristo è risorto, se c'è davvero, se è qui, reale quanto il reale,forse più reale del reale... allora il problema di ricordarsi di Cristo non è un dovere morale, nè uno sforzo. È una necessità.
Un pio israelita benedice il Signore prima di mangiare qualsiasi cosa. Se deve aprire e mangiare una scatoletta di tonno sente il dovere morale di benedire Dio per il tonno. Tuttavia, potrebbe accadergli di dimenticarsi di benedire Dio. Ma non potrebbe dimenticarsi di aprire la scatoletta del tonno, vi pare?
Il punto è che se non vedo Cristo nella situazione, non è che mi devo ricordare di aggiungere Cristo alla situazione con una specie di sforzo creativo: vuol semplicemente dire che non ho capito niente della situazione. Per questo la situazione è diventata un problema.
Ricordarmi di Cristo vuol dire cambiare punto di vista sulle cose così da riguadagnare la posizione da cui posso incominciare a intravedere una soluzione ai problemi. Ricordarmi di Cristo è utile al problema, non alla mia psiche.
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09. Pietà, Timore di Dio - PDF | 236.62 KB |
Il ritiro di Quaresima (20 marzo) non è stato una nostra invenzione, per due motivi:
Le pagine che compongono il ritiro (al solito qua sotto in anteprima e, più sotto ancora, scaricabili in PDF) sono abbastanza autoesplicative.
Qui vorremmo sottolineare solo alcune cose molto rapide, partendo da alcune citazioni del brano di vangelo in questione, ossia il brano del "giovane ricco" (Mc 10, 17-31).
Anteprima delle schede (clicca su ognuna per ingrandirla)
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Il valore delle scelte - PDF | 427.87 KB |
Incontro del 27 marzo e 10 aprile.
Nel ritiro di Quaresima, ma un po' durante tutto quest'anno (anzi, a dire il vero è dalla terza elementare che ce lo ripetiamo) ci siamo detti una cosa fondamentale: Dio non è il ragioniere aguzzino che chissà come ci hanno ficcato in mente, ma la storia di chi l'ha incontrato dimostra che lui vuole soltanto la nostra felicità.
Allora è giunto il momento di chiederci: ma in che cosa consiste, secondo noi, questa felicità? Quali ingredienti ci vanno, per cucinare un chilo di felicità?
La discussioni, piuttosto animata, ci ha tenuti occupati per un paio di sabati (il 27 marzo e il 10 aprile).
La prima volta, questi sono stati gli ingredienti (con relative quantità):
zucchero (dolcezza): 3g
gioia: 60g
soldi: 100g
videogiochi: 35g
cellulare: 15g
pace: 55g
libri: 60g
amicizia: 50g
cibo: 30g
gioco: 90g
libertà: 200g
studio: 2g
sincerità: 5g
serenità: 20g
musica: 10g
Gesù: quello che avanza (130g)
La seconda volta, tali quantità sono così cambiate:
zucchero (dolcezza): 10g
gioia: - (è sparita perché, in fondo, possiamo sovrapporla alla felicità, che è il risultato della ricetta)
soldi: 100g
videogiochi: 60g
cellulare: 35g
pace: 55g
libri: 30g
amicizia: 100g
cibo: 70g
gioco: 100g
libertà: 200g
studio: 1g
sincerità: 19g
serenità: 60g
musica: 100g
Gesù: sempre quello che avanza.
In realtà non siamo arrivati a un chilo giusto, ma possiamo comunque avere un'idea delle proporzioni.
Ognuno, dalle varie quantità e da come sono cambiate una volta con l'altra, può tirare le proprie conclusioni.
Qui si può sottolineare una cosa. Fatti salvi i soldi (cui spetta 1 etto di diritto, e guai a toccarlo) e altre cosette (videogiochi, cellulare e libertà: un trinomio interessante), il resto godrà di percentuali variabili (in particolare la sincerità dev'essere pesata col bilancino, se ne occorrono 19 grammi esatti), e a Gesù... va quel che resta. (Peraltro, Gesù l'hanno citato loro, alla fine: il catechista non ha suggerito alcunché ma, trattandosi di un incontro di catechismo, qualcuno avrà pensato che in qualche modo avrebbe dovuto infilarcelo.)
Certo, è normale: se a 19 anni mi dicono che Dio è un qualcosa che dà "una spinta in più alla vita" (citazione letterale), a 11/12 anni non è che posso pretendere qualcosa di diverso.
Ma è significativo, perché ciò che noi siamo qui a rimarcare è proprio la scommessa per cui per avere 1 Kg di felicità mi serve 1 Kg di Dio, e tutto il resto sarà buono, utile e interessante ma non fondamentale. Che è quello che chiedeva, senza saperlo, il giovane ricco. Allora sarò libero (una cosa che pare interessare molto, se i ragazzi ne chiedono 200 grammi), ma libero perché sarò libero anche dalle cose, che non mi schiavizzeranno più nella logica dell'accumulo, come già avemmo modo di dire.
Per la cronaca nell'altro gruppo (dove sono stati - bisogna dirlo - molto più precisi) hanno scelto questi ingredienti:
amici: 208g
famiglia: 110g
sport: 88g
no scuola: 44g
divertimento: 176g
cibo buono: 44g
casa bella: 22g
salute: 110g
fortuna: 66g
tanti soldi: 22g
tecnologia: 110g
Incontro del 17 aprile.
A un certo punto occorre un incontro che sia anche un po' tecnico, specie se siamo arrivati al punto di parlare della Chiesa. Per questo prima ci chiediamo da dove deriva questa Chiesa, e poi vediamo nel concreto come si è organizzata per compiere la sua missione.
Chiave di lettura
Se l'ultima volta ci siamo lasciati dicendoci che per essere davvero felici l'unica strada è Gesù, oggi rispondiamo a una domanda che nasce da quest'ultima considerazione, ovvero: ma dove sono tutte queste persone che hanno incontrato Gesù e hanno trovato la felicità? Sono la Chiesa.
Ma se la Chiesa è la comunità di quelli che hanno trovato la ricetta della felicità, queste stesse persone non riusciranno a tenere per sé una scoperta così grande: andranno a dirla a quanti vorranno ascoltarli. Ecco l'evangelizzazione, che infatti è il compito che Gesù affida prima dell'Ascensione. E non saranno soli nel loro annuncio: lo Spirito di Dio li accompagnerà e suggerirà loro che cosa dire e come comportarsi, nei modi e coi doni che abbiamo già visto. È "l'effetto" della Cresima.
Naturalmente anche questa scheda non è altro che una riproposizione/riduzione dell'omonimo incontro del percorso «Lo Spirito e La Sposa».
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12. Andate e fate discepoli (PDF) | 285.27 KB |
Incontro del 24 aprile.
Ultimo incontro di preparazione alla Cresima. I due successivi, sono stati dopo l'amministrazione del sacramento.
Un incontro molto molto tecnico, sui segni che sono poi stati utilizzati durante la Cresima, su quello che la Cresima ha fatto dei cresimandi/cresimanti, e su come si svolge il rito. Il tutto aperto da un paragone, molto poco lusinghiero, su come molti vivono la vita una volta che, finalmente, hanno "finito il catechismo": come cani di Pavlov.
Naturalmente anche questa scheda non è altro che una riproposizione/riduzione dell'omonimo incontro del percorso «Lo Spirito e La Sposa».
L'unzione che avviene durante la Cresima appone un sigillo che dice l'appartenenza di chi se lo fa apporre. Ma c'è di più. L'unzione con l'olio è un gesto molto antico, che il popolo di Israele riservava alle sue figure più importanti: i re, i profeti e i sacerdoti. Gesù "riunisce" in sé queste figure: è il vero re, il vero profeta, il vero sacerdote. E i cristiani, fatti a modello di Gesù, vengono a loro volta unti per essere re, profeti e sacerdoti.
Re: chiamati a governare (come Adamo all'inizio del mondo si prendeva cura della creazione) il creato, il tempo e lo spazio che ci sono affidati, e noi stessi. Siamo responsabili della vita che ci è donata e delle persone e delle creature con cui interagiamo.
Profeta: il profeta è colui che porta il messaggio di un altro, una sorta di ambasciatore; noi siamo chiamati a portare e predicare il messaggio di di Gesù, il Vangelo, che non ci appartiene, non è nostro. I profeti non erano coloro che predicevano il futuro ma coloro che "parlavano a nome di" (è questo il significato della parola greca prophètes) Dio.
Sacerdote: la funzione del sacerdote è quella di offrire il sacrificio (di animali) a Dio. Ora, il vero sacerdote è Gesù, che ha offerto la propria vita volontariamente a Dio, ponendo fine all'antico rito. Noi siamo chiamati a sacrificare la nostra vita, ossia a "renderla sacra": non la perderemo, ma la realizzeremo in pienezza. «Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8, 35).
Durante la Messa Crismale, che si svolge nella mattina del Giovedì Santo nelle cattedrali di tutto il mondo, il Vescovo benedice gli olii santi: l'olio dei catecumeni, il crisma, e l'olio degli infermi.
L'olio dei catecumeni serve per l'unzione di coloro che iniziano il percorso di preparazione al battesimo, se questo avviene in età adulta; nel caso dei bambini, avviene prima del battesimo vero e proprio. Viene usato durante il rito di esorcismo e significa la liberazione dal peccato e da Satana: indica l'appartenenza a Cristo.
Il crisma viene usato durante il battesimo: indica l'appartenenza a Dio, è il sigillo (carattere) di cui abbiamo parlato ed è l'olio che si richiama a quello usato nell'Antico Testamento per i Re, i Profeti e i Sacerdoti. Il crisma non è solo olio: è mischiato a balsamo. Come l'olio indica la grazia abbondante, che si sparge nell' anima del cristiano per confermarlo nella fede, così il balsamo, che è odoroso e difende dalla corruzione, significa che il cristiano fortificato da questa grazia, è atto a dare buon odore di cristiane virtù e a preservarsi dalla corruzione dei vizi. Usato nella Cresima, conferma e porta a compimento il "percorso" iniziato col Battesimo (tant'è vero che in origine i due sacramenti erano uniti)
L'olio degli infermi si usa invece durante l'amministrazione del sacramento dell'Unzione degli infermi: «la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio» (dal Catechismo)
Il giorno della Cresima il Vescovo, chiamandoti per nome, dirà:
Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono.
E tu risponderai:
Amen.
Il vescovo riprenderà:
La pace sia con te.
E tu risponderai:
E con il tuo spirito.
Come cani di Pavlov
Il mio cane odia i venerdì mattina. Il venerdì mattina, sapete, è il giorno in cui passano a ritirare il vetro. Dalle otto in avanti, quando gli spazzini si avvicinano abbastanza perché si possa sentire il rumore dei vetri rovesciati dai contenitori di ognuno degli abitanti della mia via nel furgoncino dell’azienda comunale, il mio cane con impegno abbaia contro questi disturbatori della pubblica quiete.
Ma non in continuazione. Quando gli spazzini vuotano il secchio – e dunque fanno rumore – abbaia furiosamente. Non appena il rumore cessa, smette anche lui. Poi gli spazzini passano al secchio successivo, e lui ricomincia ad abbaiare, finché il rumore non cessa nuovamente. E così via, per tutta la strada, finché non sono più a portata d’orecchio. Poi il mio cane rientra in casa, soddisfatto per averli fatti smettere ancora una volta di produrre quel baccano infernale.
Io sospetto che sia convinto di avere tutto il merito della ritrovata tranquillità: «se quelli hanno smesso di far rumore» – penserà – «è perché col mio abbaiare li ho spaventati a sufficienza. C’è voluto un po’, ma anche stavolta ce l’ho fatta». È un cane, e ragiona così. Non gli può passare per la mente che, se non li sente più, è semplicemente perché ormai sono troppo lontani, e che lui non ha alcun merito circa il ritorno del silenzio nella nostra zona. O che, se si sono interrotti, è perché stanno passando al secchio successivo. Anzi: probabilmente, se potesse scoprirlo, cadrebbe in depressione.
Fare la voce grossa sembra essere il primo istinto, la prima reazione, l’automatismo che governa le relazioni tra le persone. Non la fiducia, non l’amore, non un minimo di credito, ma il dominio sul prossimo. E così ognuno si fa re del proprio piccolo mondo e si lancia in esibizioni di forza tanto risonanti quanto vacue, perché nessuno lo minaccia, o addirittura gli presta attenzione.
L’illusione del potere è una di quelle che più fanno rumore, quando s’infrangono.
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13. Re, profeti e sacerdoti (PDF) | 420.18 KB |
Gli ultimi due incontri, avvenuti dopo la Cresima, non hanno seguito il solito schema, con le solite schede.
Invece abbiamo fatto un "gioco di ruolo" nel primo, e l'abbiamo ripreso nel secondo, che si è concluso con una sessione di "domande e risposte" sulle quali ci siamo salutati e, incidentalmente, abbiamo constatato come per molti si possa aprire una futura ricca carriera come eresiarca... ma sto divagando.
Il gioco di ruolo ci è servito per capire come agisce la Chiesa nel mondo, oggi. Una Chiesa gestita da uomini, ma fondata da Dio. Che ha scelto non il più bravo o il più erudito, ma il più "umano" dei suoi discepoli.
Il gioco in sé, ideato a partire da un'idea improvvisa, è ancora un po' grezzo, ma ha funzionato bene e ci ha fatto capire alcune cose - che abbiamo approfondito successivamente - in maniera simpatica.
Qui sotto, metto le istruzioni che ho scritto per spiegarne il funzionamento basandomi sull'esperimento svolto nel mio gruppo.
L'inizio è ex abrupto, senza spiegare dove si vuole andare a parare: quello deve emergere alla fine (effetto sorpresa... da noi c'è stato, ma dipende dalla percentuale di teste vuote presenti, immagino).
Per prima cosa occorre un volontario. Noi abbiamo pescato (si erano proposti in cinque, abbiamo tirato un dado da 10) una fanciulla. L'inizio del racconto è tutto intorno a lei. Seduta su una sedia in modo che tutti la possano vedere, si introduce la situazione con frasi di questo tipo:
Tu sei il presidente di un'azienda ben avviata. Non grandissima, forse, ma ben stabilita nel tuo campo specifico: tu produci [fare scegliere che cosa... i dolci sono indicati perché sono un buon paragone, Lei ha scelto i Tiramisù] i migliori tiramisù che si possano trovare. Ancora non lo sanno tutti, perché la tua azienda è da poco sul mercato, ma stai conquistando clienti.
Per gestire al meglio la tua azienda [volendo si può darle un nome] hai nominato due responsabili, due persone fidate cui affidare due aspetti importanti: la gestione del personale e il rifornimento di materie prime.
Voialtri [indicando tutti gli altri] siete i dipendenti dell'azienda, e siete felici di lavorarvi, perché vi trovate bene, la paga è ottima e non potreste sognare un lavoro migliore.
Qui il presidente sceglie due persone, che si vanno a sedere ai suoi lati. Poi si continua.
Grazie alla vostra illuminata direzione, grazie ai vostri sforzi e alla guida sicura del vostro presidente, continuate a crescere. Questo avviene perché fornite davvero il migliore tiramisù che si possa trovare: il presidente pretende che le materie prime siano di primissima qualità ed esige che i suoi dipendenti siano felici di lavorare per lui, ma anche che diano il massimo in ogni fase della produzione; non tollera i lazzaroni. Per questo compito ha scelto voi suoi collaboratori e a questo vi richiama sempre.
Dopo qualche tempo,però, il presidente deve partire. Non sa quanto starà via, non è nemmeno molto chiaro sui motivi che lo costringono ad allontanarsi, ma deve andarsene. Per questo, nomina un vicepresidente che sarà responsabile fino al suo ritorno.
Il vicepresidente può essere o uno dei due oppure essere una terza persona. Se è uno dei due, questi dovrà poi scegliere qualcuno che lo sostituisca nel ruolo che ricopriva prima. Se invece è una terza persona, potrebbe esserci da gestire il malcontento dei due che sono stati scavalcati (improbabile: si scelgono tra amici); un narratore veramente sadico cercherebbe di far scegliere una terza persona per vedere che cosa viene fuori, ma son dettagli. Noi abbiamo preferito non essere sadici.
A questo punto il presidente saluta e si allontana. Da questo momento l'intera azienda è nelle mani dei tre.
Il narratore riprende:
Per un po' sembra andare tutto bene. Passa un mese, ne passano due, ne passano sei... il presidente non torna, risponde alle mail – anche se in maniera un po' criptica – e dice che tornerà, di continuare a tenere duro ché lui sta lavorando da dove si trova ora. Passa un anno, passano due anni... il presidente è quasi un ricordo – venerato, certo – e ormai l'azienda praticamente appartiene ai tre.
Qui si iniziano a proporre le difficoltà.
Per quello che si occupa dei fornitori:
Un giorno la tua segretaria ti annuncia che c'è un signore in attesa., che vorrebbe parlare con te. Dice di essere stato inviato dalla [...], la famosa azienda di […] e che intende sottoporti una proposta.
In generale, probabilmente non è necessario entrare troppo nei dettagli. Basta fare leva sul fatto che si offrono le materia prime a metà prezzo, a parità di qualità, che il guadagno sarebbe consistente e permetterebbe di espandersi in maniera altrimenti impossibile. Che il tipo ha scelto quest'azienda per proporre i servizi della sua azienda perché ha ammirato la sfolgorante conquista del mercato, ma che i concorrenti premono e che quindi può lasciare poco tempo per decidere. Insomma, andando un po' a orecchio si ottiene la firma sul contratto, anche se chiedessero di fare dei tiramisù di prova (che naturalmente saranno buonissimi).
Chiaramente, non appena il contratto è firmato e la produzione inizia con il nuovo materiale, i tiramisù fanno schifo e le vendite crollano rapidamente.
Nota: il tutto è bene che sia gestito in maniera “da gdr”: parlando col responsabile c'è solo lui nell'ufficio e non può consultarsi con nessuno (ho dovuto dire più di una volta «Non ci sei!»). Nel tempo lasciato per riflettere può decidere liberamente se gestire la cosa in proprio, sentire il vicepresidente o anche l'altro, ecc.
Mentre la prima crisi è in pieno svolgimento, ecco che si dà il via alla seconda.
Lo schema è lo stesso, ma stavolta si tratta del rappresentane sindacale che va dal responsabile del personale a dirgli che i dipendenti trovano ingiusto la politica di produzione “sempre al massimo” della società; vorrebbero vedere un po' più di flessibilità, tanto il lavoro è facile e ripetitivo, e poi hanno saputo che le aziende concorrenti danno stipendi molto più alti e fanno lavorare meno ore, e pretendono... qui si può andare avanti ad libitum, fino a ottenere o che il responsabile cede (alzando gli stipendi, riducendo l'orario o quel che è), inguaiando l'azienda già nei guai per via dell'altro problema, oppure che non cede, e allora si può andare di sciopero e quel che la fantasia suggerisce. Solite 24 ore per decidere, e si va a orecchio.
L'idea è che, portati a cercare di accontentare tutti per paura o a spendere meno per avidità o quel che è, portino l'azienda al collasso. Probabilmente servirà qualche incontro con il rappresentante sindacale o il tipo misterioso delle materie prime (Martina ha preteso di cancellare la fornitura, ma aveva firmato un contratto per dieci anni con una penale grande come la Luna – questo gliel'ho detto quando minacciava la cancellazione, naturalmente: d'altra parte è necessario essere un po' diabolici, visto il personaggio da interpretare).
All'apice della crisi, si fa tornare il presidente.
Lui è al corrente della situazione (ah, i miei non hanno pensato di chiamarlo, ma se ci pensano basta stare sul vago con le risposte, sostenendo che quanto dovevano sapere per gestire al meglio l'azienda l'hanno visto da lui in azione) e a quel punto lo si lascia libero di agire. Dopo che ha risolto la situazione (risanando l'azienda o dichiarando fallimento – se serve, si può dotarlo ex machina di un mucchio di quattrini), si ferma il gioco e si spiega:
Adesso capite come funziona la Chiesa dopo l'ascensione?
Da qui il passaggio Ascensione → Pentecoste → Chiesa è venuto fuori in un attimo. Nel gioco manca in effetti lo Spirito Santo, che per fortuna (o forse è meglio dire per grazia) noi come Chiesa abbiamo; si possono trovare diversi limiti a un'analogia di questo tipo, eppure l'idea mi sembra buona e che possa funzionare.
Dalle loro facce quando ho fatto la domanda finale ho capito che il sistema, in effetti, aveva funzionato. In più si sono divertiti. È importante non allungare troppo i tempi (stare sui 30 minuti massimo) perché quelli che fanno “i dipendenti”, che pure ogni tanto tiravo dentro (e si sono consultati con il rappresentante sindacale) rischiano di finire per annoiarsi un po'.
Ah, una nota di colore: ho constatato che le donne a capo dell'azienda passano ore e ore a ciacolare senza arrivare a una soluzione... mah! (o, forse, prevedibile: per questo direi di contingentare i tempi che si lasciano per decidere)..