2. La figura dell'educatore a partire dalle lettere pastorali del Card. Carlo Maria Martini

  • Posted on: 22 November 2014
  • By: mdmuffa

 

Intervento di don Flavio Riva, all'epoca vicerettore del Quadriennio Teologico presso il Seminario Arciverscovile di Venegono Inferiore.

Sostanzialmente mi atterrò ai progetti pastorali che nella nostra Chiesa hanno messo maggiormente a tema l’educare, e poi ad alcuni testi del Sinodo che sono sintetici rispetto alla proposta che il Vescovo ha fatto su questo tema.

Voi sapete (se non lo sapete ve lo dico io) che il Vescovo, arrivando a Milano nel 1980, trova una Diocesi con una lunghissima, grande e forte tradizione di educazione. Già dall’inizio di questo secolo tutte le parrocchie della nostra Diocesi sono dotate di un oratorio maschile e di un oratorio femminile, con proposte specifiche di formazione per i maschi e per le femmine: proposte di catechesi, di animazione, culturali (pensate un po’ a tutto il mondo delle filodrammatiche, del teatro; pensate a tutto quello che, nelle nostre parrocchie, ruota attorno ai corpi musicali: la banda, il coro, un sacco di attività, di iniziative, che tendono sì all’animazione e alla vita comune, ma che hanno una sottolineatura, un’attenzione educativa).

Questa attenzione educativa, nella nostra Chiesa, ha avuto anche delle figure popolari di santità, per cui alcuni uomini ed alcune donne si sono santificati, sono stati autentici cristiani nell’educare.

Nella parrocchia dove sono stato io, ad Arcuate, in provincia di Lecco, c’erano due personaggi, Antonietta e Carletto, marito e moglie, quasi novantenni. Loro due, nella nostra comunità, sono stati due straordinari educatori, educatori alla fede, educatori alla preghiera, e da sposati sono stati per tantissimo tempo punto di riferimento per molte coppie. Il vicario episcopale della zona di Monza, che è nativo della parrocchia di Lecco dove ho fatto il prete io, dice chiaramente che deve la sua vocazione al dialogo con il suo educatore che era proprio quel Carletto. Cioè la deve ad un uomo, sposato, che faceva il cartolaio, ma con un gusto per la vita di fede, per la vita della parrocchia, capace di dire ai suoi giovani: « Tu vai bene a fare il prete, tu vai bene a fare il sindacalista, tu vai bene a studiare, tu vai bene a lavorare… oppure: guarda, per te questa cosa non funziona ». E credo che se voi avete pazienza di scavare un po’ nella storia della vostra comunità o di guardarvi in giro sapete scoprire alcuni volti, alcune storie che sono luminose nella vicenda della parrocchia, per dedizione, per impegno, per santità di vita, per dirittura morale, per capacità di affascinare.

Il Vescovo viene dunque in una Diocesi così e trova anche un appuntamento, già fissato in calendario, cioè il congresso eucaristico nazionale del 1983.

Si trova quindi a dover impostare un lavoro pastorale tenendo presente questo obiettivo e comincia, con molta calma, a disegnare un volto, un progetto di Chiesa, attraverso le lettere pastorali che hanno al centro quella dell’eucaristia, nell’83: “Attirerò tutti a me” e hanno come premessa: “La dimensione contemplativa della vita”, prima lettera dell’Arcivescovo Martini; la seconda, “In principio la parola”; la terza, appunto quella sull’Eucaristia; la quarta, dopo aver celebrato l’Eucaristia, “Partenza da Emmaus”. L’icona di questi primi cinque anni è proprio il vangelo di Emmaus; da Emmaus si parte: la missione, quindi. Poi viene la quinta lettera pastorale, “Farsi prossimo”: la carità come frutto della Eucaristia, preparate nella “Dimensione contemplativa”, ascoltata nella “Parola”, celebrate nella liturgia, vissuta nella missione, e testimoniata dalla carità. Questo è il volto di Chiesa che il nostro Vescovo ha pensato di disegnare per la nostra comunità diocesana.

Terminata questa descrizione del volto di Chiesa il Vescovo ha detto: « Io non ho nient’altro da dire se non riprendere, rivisitare questo volto rileggendolo attraverso tre griglie, tre possibili piste, tre percorsi: il primo era quello dell’educare, il secondo quello del comunicare, il terzo quello del vigilare; e questa vigilanza sul volto della Chiesa si è conclusa, poi, nel libro del Sinodo, che voleva essere una sintesi di tutto questo cammino.

La prima delle dimensioni trasversali sul volto di Chiesa è stata quella sull’educare, forse perché era la più facile, forse perché c’era più materiale, sicuramente perché c’era anche più vissuto nelle nostre comunità e ne sono scaturite tre lettere pastorali:

  • “Dio educa il suo popolo”

  • “Itinerari educativi”

  • “Educare ancora”

Quest’ultima - è proprio il caso di dirlo - a furor di popolo, di preti, di consigli: il Vescovo ha quindi ritenuto opportuno fare un terzo anno sull’educare: è la prima volta che ha “ceduto” e la nostra Chiesa è rimasta quindi sul tema dell’educare per un triennio, nella riflessione e nella discussione. Poi si è passati al comunicare ed al vigilare. Tutto questo per mostrare dove è collocata la riflessione del nostro Vescovo. Io partirei, dunque, guardando velocemente dentro la lettera “Dio educa il suo popolo”, che è poi il lancio del tema e un po’ forse anche la prospettiva più alta dalla quale poi il Vescovo deduce o fa partire tutte le riflessioni sull’educazione.

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