In nome del popolo

  • Posted on: 30 August 2010
  • By: mdmuffa

In nome del popoloAntefatto:
mi sono imbattuto in una notizia che mi ha richiesto un po' di approfondimento. Sono così migrato verso altri siti e lì ho notato l'immagine che ha scatenato questa riflessione (e che sta qui sulla destra). Nulla di particolare: semplicemente la ripresa ravvicinata del particolare di un'aula di tribunale, con la scritta: La giustizia è amministrata in nome del popolo.

In nome del popolo. È questo che mi crea problema. Perché mi sono fatto l'idea, nel tempo, che il popolo non esista.
Che cos'è il popolo, nell'accezione comune? Un insieme di persone che si riconosce in tradizioni e valori comuni, che abita un territorio che considerano "nazionale", che in virtù di tutto ciò si dà - per l'appunto - leggi e norme per la convivenza. All'apparenza, un bel gruppo compatto.
Ma non è altro che una costruzione astratta. Non esiste, nel concreto, il caso di un "popolo" che agisca tutto insieme nella stessa direzione: c'è sempre qualcuno che la pensa in almeno un modo diverso, se non due o tre; è fisiologico. Allora come si fa a decidere? A maggioranza, ovvio: l'essenza della democrazia.
Ma allora, se la giustizia è amministrata in nome del popolo, vale a dire al posto del popolo, il criterio per decidere ciò che è giusto o sbagliato sarà lo stesso che usa il popolo: la maggioranza. Dunque, per iniziare, sarebbe più chiaro scrivere La giustizia è amministrata a maggioranza. D'altra parte anche le leggi - che danno al giudice il metro per stabilire che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato, si fanno così: a maggioranza.
Qual è l'ovvio rischio? Che un giorno la maggioranza cambi e ciò che oggi è giusto domani divenga sbagliato, e ciò che oggi è sbagliato domani divenga giusto. Perché se la giustizia è decisa a maggioranza, allora non è assoluta, ma relativa: è giusto ciò che in questo momento mi sembra giusto.
Se finora il sistema ha, di riffa o di raffa, funzionato (il sistema, cioè l'idea alla base, non la macchina) è perché c'è stata una sostanziale condivisione del concetto di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, anche al di là delle convenienze personali: so che è sbagliato rubare, o uccidere, sempre, anche se in questo momento mi farebbe proprio comodo.
Perché? Perché fino a non molto tempo fa la giustizia non era amministrata in nome del "popolo" - ossia di qualcosa che non esiste - ma "in nome di Dio" (o "del Re", ma il discorso non cambia perché le prerogative di questi erano derivanti da Dio): c'era un riferimento assoluto, un metro preciso sul quale regolarsi.
Poi Dio è stato defenestrato da alcune élite che, manovrando la massa, l'hanno convinta di essere popolo. E come si fa a sentirsi popolo? Ma è facilissimo: sono popolo quando decido io quello che va bene. "L'ha deciso il popolo" è una sentenza contro la quale non si può nulla. Salvo poi notare che il popolo non decide mai compatto, come abbiamo detto, ed ecco terreno fertile per i capipopolo (termine che non a caso ha una connotazione spregiativa).
Certo, ci sono i cosiddetti "valori universali", che reggono bene per i primi dieci minuti. Poi ci si accorge che un valore non è altro che parole, cui obbedire finché non mi tocca sul vivo e che non è poi così universale: chiedete che cose pensi dell'integrazione chi viene da una cultura completamente diversa e con una identità forte.
Certo, se il fondamento della giustizia non fosse la maggioranza, non fosse un valore, ma fosse una Persona (trascendente, creatrice, buona), allora potrei stare tranquillo. Sarebbe una giustizia giusta. Ma se è decisa a maggioranza, in nome e in base al popolo, cambierà quando cambierà il popolo. I martiri nascono da qui.

«Fino a quando giudicherete iniquamente
e sosterrete la parte degli empi?»
Sal 81