Santa Martina? Chi era costei?

  • Posted on: 18 December 2010
  • By: mdmuffa

SANTA MARTINA

o
di come distruggere gli edifici pubblici di Roma e
nonostante questo diventare patroni della Città

 

Santa MartinaDella povera santa Martina, martire del III secolo, non si sa granché. Forse è stata messa in ombra dal suo omonimo maschile san Martino di Tours il quale, peraltro, anziché essere noto per essere stato vescovo, uomo di profonda fede ed evangelizzatore delle campagne, è conosciuto perché, da giovane soldato, si dilettava di sartoria in favore dei poveri.

Torniamo a Martina, in ogni caso. Dopo che furono trascorsi secoli di silenzio dalla morte della santa, di cui ci si ricordava ormai poco, nel VII secolo papa Onorio I le dedicò una chiesa nel Foro (l'attuale chiesa dei Santi Luca e Martina) basandosi sulle iscrizioni trovate sugli edifici presenti in quel luogo, iscrizioni che testimoniavano la presenza del corpo di lei lì sepolto. Vi sono poi fonti circa una festa in onore della santa nell'VIII secolo.

Nel XIII secolo, del corpo di Martina s'erano perse le tracce. Sì, certo, la chiesa di Santa Martina esisteva ancora, ma nessuno ricordava più se lei fosse sepolta proprio lì o da un'altra parte. Così furono tutti ben contenti quando, durante una serie di scavi, ne trovarono lo scheletro in una cassa di terracotta (con la testa conservata in un bacile di rame) insieme a quelli di due compagni martiri, Concordio ed Epifanio, e a quello di un terzo il cui proprietario era – ed è tuttora – sconosciuto. I resti di Martina (facilmente riconoscibili, in quanto gli unici femminili) erano separati da quelli degli altri tre da una lastra di terracotta e una di marmo; quest'ultima riportava in latino la scritta che identificava i corpi di Martina, Concordio ed Epifanio, ma già si limitava a definire “un loro compagno” il quarto uomo lì sepolto. Nel 1256 papa Alessandro IV riconsacrò la chiesa e così, negli ultimi secoli del Medioevo, tutti sapevano dove fosse la tomba di santa Martina.

Nel XVII secolo, del corpo di Martina s'erano perse le tracce. Di nuovo. Nel 1634 papa Urbano VIII decise di restaurare la chiesa di Santa Martina – che ne aveva un gran bisogno – e lo scheletro della santa venne ritrovato per la seconda volta, nuovamente per un caso fortuito – o provvidenziale.

In realtà anche se, con il tempo, nella gente s'era persa la memoria della vita di Martina e non esisteva più, a calendario, una festa a lei dedicata, alcune notizie erano rimaste: basandosi su queste Urbano VIII fissò la celebrazione della sua memoria al 30 gennaio (anche se pare che sia morta il 1° gennaio) e la iscrisse tra le patrone di Roma, probabilmente nella speranza che una santa "da calendario" e per di più con la responsabilità della Città Eterna avesse meno probabilità di veder smarriti i propri resti.

Le informazioni utilizzate dal papa – che sono anche le uniche rimaste su Martina – provenivano da una Passio, composta da un autore anonimo e che contiene probabilmente elementi leggendari (anche perché le circostanze del martirio sono sospettosamente simili a quelle di altre sante, come Tatiana e Prisca).

Comunque, stando alla Passio Martina era una diaconessa vissuta nel III secolo e figlia di un nobile eletto console per tre volte. Rimasta orfana in età molto giovane (qualcuno dice addirittura che avesse solo 12 anni quando morì) ereditò l'ingente fortuna dei genitori, che donò interamente a poveri; poi incontrò il prefetto dell'Urbe, Domizio Ulpiano, che per ragioni sue odiava i cristiani, e iniziarono i guai.

Per aver professato apertamente la propria fede, infatti, nel 228 venne condotta dal prefetto dinanzi al tribunale dell'imperatore Alessandro Severo.
Nonostante il nome, Alessandro non era poi così Severo: per cercare di "integrare" la religione cristiana nell'impero (o, più banalmente, "perché non si sa mai") aveva incluso Cristo tra gli dèi venerati dalla famiglia imperiale. Durante il suo regno, poi, non ci furono grandi persecuzioni e la Chiesa poté espandersi nell'impero. Santa Martina, insomma, dev'essere stata alquanto sfortunata: è riuscita a farsi uccidere in una delle epoche più tranquille per la Chiesa prima di Costantino.

Sebbene quindi il clima generale non fosse ostile ai cristiani, dopo l'arresto Ulpiano fece portare Martina davanti alla statua di Apollo nel tempio dedicato al dio, imponendole di prostrarsi per dimostrare di credere negli dèi, rifiutando la fede cristiana.

Santa MartinaMartina, non appena fu davanti alla statua, si fece il segno della croce e iniziò a pregare. La statua andò in pezzi. I presenti fecero un balzo ma non ebbero il tempo di chiedersi che cosa diavolo stesse succedendo perché immediatamente ci fu un terribile terremoto che rase al suolo il tempio, incidentalmente uccidendo tutti i sacerdoti di Apollo e una buona dose di quanti si trovavano lì in quel momento.

Ulpiano non si dette per vinto. Voglio dire: vabbé, Apollo potrà anche distrarsi e farsi umiliare così, ma lui avrebbe comunque avuto ragione di quella pazza pericolosa. Pericolosa perché, oltre a burlarsi degli dei, ne faceva crollare i templi, a quanto pareva...

Martina venne dunque torturata impiegando una notevole varietà di metodi, adottati nell'inutile tentativo di costringerla ad abbandonare la religione cristiana.
Anzi, a dirla tutta la santa rappresentò un vero problema per i suoi torturatori. Questi iniziarono con una di solito efficace fustigazione, ma Martina ne uscì illesa. Visto che la prima opzione era fallita tra la perplessità dei fustigatori, venne attuato il piano B: Martina fu colpita ripetutamente con il flagello uncinato e poi le vennero strappati brani di carne con delle tenaglie, ma anche qui non si ottennero dei risultati.
Dev'essere deprimente, per un esperto torturatore, strappare pezzi di carne al corpo di un prigioniero, vederlo soffrire tormenti indicibili e constatare che, nonostante tutto ciò, quello non solo continua ad avere fede nel suo Dio ma per di più le ferite scompaiono come se non ci fossero mai state.

Visto che la coercizione fisica sembrava non ottenere risultati e ormai a corto di idee, i torturatori decisero di far intervenire personalmente, e per la seconda volta, gli dèi. O forse speravano che, avendone comunque prese tante, ormai si sarebbe piegata al paganesimo. Non si rivolsero ad Apollo, però, no: aveva già fallito, e poi aveva un tempio da ricostruire. Magari avrebbe funzionato meglio Diana, al cui tempio la portarono dopo averle fatto passare qualche giorno nel carcere Mamertino (non esattamente un ridente luogo di villeggiatura).

Fu una pessima idea: la santa, appena entrata nel tempio, ordinò al demonio di abbandonare la statua della dea. La statua va in pezzi, scoppia un terremoto, il tempio crolla, sacerdoti e presenti ci rimettono la pelle mentre la diaconessa resta illesa. Come da programma.
Ormai Martina non era più soltanto una cristiana svitata e sovversiva: era ufficialmente anche un pericolo per gli edifici pubblici di Roma, per non parlare della gente che li frequentava.
Il fatto che lei uscissero illesa da ogni distruzione - mentre i poveri sacerdoti, che in fondo non c'entravano niente, venivano allegramente massacrati insieme agli astanti - anziché spingere Ulpiano a fermarsi un momento a riflettere lo fece infuriare ancora di più.
Santa MartinaProvarono nuove torture: la lapidarono con cocci, tegole e mattoni e poi, per giusta misura, le infilzarono tutte le membra con spilloni appuntiti. Inutile dire che Martina uscì da questo trattamento senza nemmeno un segno. I suoi persecutori, ormai sull'orlo dell'esaurimento nervoso, provarono a immergerla nel grasso bollente: la santa ne uscì unta, ma viva. Allora la portarono nel circo perché fosse sbranata dalle fiere, ma queste non si degnarono nemmeno di assaggiarla; anzi, le si accucciarono ai piedi come dei gatti un po' troppo cresciuti. L'ultimo tentativo – gettare la diaconessa nel fuoco – fallì miseramente come i precedenti.

Dato che a quel punto era evidente che con le cattive non si cavava nulla e che nessuno dei sacerdoti degli altri dèi voleva avere a che fare con quel cataclisma ambulante, al prefetto, sfinito perché non riusciva ad avere ragione di lei e del suo Dio, venne in mente che una sola cosa non aveva ancora tentato: tagliarle la testa. Dopotutto quella non aveva alcuna intenzione di abiurare: tanto valeva ucciderla.
Ulpiano ordinò di scortarla al decimo miglio della via Ostiense – facendo attenzione, possiamo immaginare, perché non guardasse nemmeno di striscio i vari templi che potesse incontrare nel tragitto – e di decapitarla. Proprio mentre il boia stava per colpire scoppiarono tuoni in cielo e il terremoto tornò a farsi sentire, fuoco dal cielo colpì i templi degli dèi, distruggendone i simulacri, e apparve una visione della reggia celeste di Dio. Tutto ciò non fece che mettere fretta al carnefice. La spada staccò di netto la testa di Martina dal corpo: latte e sangue sgorgarono dalle ferite e un odore dolcissimo, proveniente dal corpo della santa, si diffuse nell'aria.
La morte di santa Martina, con tutti i prodigi che la accompagnarono, fu nei giorni seguenti la causa di moltissime conversioni nella Città. E i sacerdoti degli dèi pagani – quelli scampati alla distruzione, almeno – ricominciarono a respirare liberamente.

Il corpo di Martina rimase insepolto per sette giorni, ma due aquile rimasero a vegliarlo finché fu raccolto dal papa Urbano I (o dal vescovo Retorio) e sepolto lì vicino, in una zona adibita a “cimitero dei martiri”.
Nel 237 papa Antero (o più probabilmente il suo successore Fabiano, visto che Antero morì nel 236) ebbe una visione: santa Martina gli apparve per dirgli che doveva dare una sepoltura più degna al suo corpo, di cui in così breve tempo s'erano perse le tracce (come diventerà abitudine nei secoli successivi), e di cercarlo al cimitero dei martiri della via Ostiense.
Chiesa dei Santi Luca e MartinaAntero si assicurò che la visione non fosse colpa della peperonata della sera prima e fece come gli era stato detto: raccolse i resti di Martina insieme a quelli di Epifanio, Concordio e di un loro compagno, e lì seppellì in un trionfo posto vicino al tempio di Marte, nei pressi del carcere Mamertino, alle falde del Campidoglio.
All'inizio del '300, dopo l'editto di Costantino, il tempio venne sostituito da una chiesa per ordine di papa Silvestro I e il trionfo vi fu incorporato. La chiesa venne quindi intitolata a Santa Martina. È questo l'edificio su cui Onorio I costruì in seguito la chiesa del VII secolo.

Martina viene rappresentata, oltre che insieme a un giglio (che ne rappresenta la verginità) e alla palma (simbolo del martirio), con un paio di tenaglie (o un attrezzo che somiglia a un piede di porco) e una spada, ossia gli strumenti della sua sofferenza e morte.

Il culto di santa Martina, vergine e martire, è presente in modo particolare a Martina Franca (Taranto), dove alcuni frammenti ossei della santa giunsero nel 1730 inviati dal cardinal Tommaso Innico Caracciolo: il cardinale, titolare della chiesa dei Santi Luca e Martina, volle donare le reliquie alla città che portava lo stesso nome della santa.

In onore di Santa Martina Urbano VIII ha composto questo inno:

Martinae celebri plaudite nomini,
Cives Romulei, plaudite gloriae:
Insignem meritis dicite Virginem,
Christi dicite Martyrem.

Haec dum conspicuis orta parentibus,
Inter delicias, inter amabiles
Luxus illecebras ditibus affluit
Faustae muneribus domus:

Vitae despiciens commoda, dedicat
Se rerum Domino, et munifica manu
Christi pauperibus distribuens opes,
Quaerit praemia Coelitum.

Non illam crucians ungula, non ferae,
Non virgae horribili vulnere commovent;
Hinc lapsi e Superum sedibus Angeli
Coelesti dape recreant.

Quin et deposita saevitie leo
Se rictu placido proicit ad pedes;
Te, Martina, tamen dans gladius neci
Coeli coetibus inserit.

Te thuris redolens ara vaporibus,
Quae fumat, precibus iugiter invocat,
Et falsum perimens auspicium, tui
Delet nominis omine.

A nobis abigas lubrica gaudia,
Tu qui Martyribus dexter ades, Deus
Une et Trine: tuis da famulis iubar,
Quo clemens animos beas. Amen.

Traduzione:

Acclamate il nome splendido di Martina,
Acclamatene la gloria, cittadini figli di Romolo:
Celebrate la Vergine, gloriosa per i suoi meriti,
Celebrate la martire di Cristo.

Ella, nata da nobili genitori,
tra le delizie, tra le piacevoli
lusinghe del lusso possiede in abbondanza i ricchi
beni della prospera casa:

disprezzando gli agi della vita, dedica
se stessa al Signore di tutto e con mano generosa
distribuendo ricchezze ai poveri di Cristo
cerca i premi del Cielo.

Né gli artigli né le fiere la tormentano,
né le verghe, infliggendole orribili ferite, la piegano;
poi gli Angeli, discesi dalle sedi eterne,
la confortano con il banchetto del cielo.

E in realtà, abbandonata ogni crudeltà, il leone
si getta ai suoi piedi, le fauci placidamente richiuse;
Ma te, Martina, la spada, dandoti la morte,
fa entrare nelle schiere del cielo.

A te l'altare fumante, mentre dei vapori d'incenso profuma,
eleva preghiere senza interruzione
e, annientando la falsa idolatria,
la cancella con il segno del tuo nome.

Allontana da noi i falsi piaceri
Tu che propizio ti fai vicino ai Martiri, o Dio
Uno e Trino: concedi ai tuoi servi lo splendore
 con il quale, clemente, rendi felici gli animi. Amen.

 


La ricostruzione qui fatta della vita di santa Martina è un tentativo di armonizzare le fonti per ottenere un racconto coerente. Tali fonti sono principalmente il Breviario Romano (che attinge alla Passio) e le Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, scritte nel 1823 da Melchiorre Missirini, che riassumono in italiano la Passio di cui purtroppo non riesco a trovare il testo, se non pochi brani citati in Roma sotterranea di Antonio Bosio Romano, 1710. Motore delle ricerche è stata la – un po' imprecisa, ma preziosa – vita di Santa Martina come scritta nel sito www.santiebeati.it.

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