2c. Conclusioni

  • Posted on: 22 November 2014
  • By: mdmuffa

Concludo:

Alcuni punti sintetici

  1. È più importante quello che sono di quello che dico

  2. Quello che dico è per me, innanzitutto, occasione di conversione

  3. Da una mentalità funzionale a una mentalità pastorale

  1. Da un’arrampicata in solitaria a una cordata: quando devo guardare gli altri

  2. Da un educare a me a un educare alla fede della Chiesa: “mi sento”, “mi pare…”

  3. Dalla presunzione di sapere all’umiltà di imparare: “sono le solite cose…”

  4. Dalla paura di esporsi al coraggio di essere mandati: a chi tocca?

  5. Da un educatore parrocchiale a un educatore “diocesano”: “da noi si è sempre fatto così!”

  6. Da un occupare un posto a svolgere un servizio: quando ho voglia di lasciare

  1. La cura degli elenchi

  2. L’agenda dei compleanni; cfr. “Educare ancora” pag. 35.

Le conclusioni sono raggruppate in tre settori.

Il primo è più di natura personale, spirituale, quindi lo comprenderete meglio domani, con don Gigi, credo.

È più importante quello che sono di quello che dico: l’educatore è; non si fa l’educatore, si è educatore.

Quello che dico è per me, innanzitutto, occasione di conversione: quando io parlo del Vangelo, della Chiesa, dei sacramenti, della vita morale, del Credo, queste cose evangelizzano me ancor prima che gli altri e devo sentire l’occasione di preparare il momento di gruppo, il momento educativo, il momento di catechismo, come una straordinaria occasione di conversione per me. Io mi devo lasciar interpellare, educare io stesso da quel vangelo che preparo. Guai se divento un mestierante! « Devo fare il mio catechismo, bene, basta, non me ne frega niente ».

Da una mentalità funzionale, “io faccio il mio catechismo”, a una mentalità pastorale: divento, con il mio prete, con la Chiesa, corresponsabile del vangelo, della missione di Gesù, della Chiesa nel mondo.

Secondo blocco di attenzioni:

È importante che l’educatore non sia l’arrampicatore in solitaria, il “geniaccio” della catechesi, della pastorale, quello che le inventa più belle degli altri. Questo vale soprattutto per le mamme, che ogni anno, quando si arriva alla comunione, devono fare sempre meglio degli altri, e quindi ci vogliono più fiori, più offerte, più confetti, più biglietti… Eh, ma calma! Chi sei? Cosa vuoi? Tu non sei la catechista che deve fare “il meglio”, sei semplicemente una che fa il suo servizio, punto e basta. Lo fai come gli altri, se devi dire qualcosa in più lo dici, ci si confronta, e si decide. Dall’arrampicata solitaria alla cordata: siamo insieme, è importante guardare gli altri.

Attenzione a quando comunicate le vostre esperienze. È chiaro che uno deve dire se stesso: parla anche di se stesso, quando comunica il Vangelo, ma guai a fare diventare le tue esperienze misura della verità, per cui tutti devono fare come te, devono pregare come te, devono commuoversi come te davanti alla stessa cosa. Attenzione, uno deve comunicare se stesso, ma non deve far diventare se stesso misura del Vangelo.

Se uno ha la percezione della bellezza del Vangelo, della complessità della vita dei ragazzi, dei giovani oggi, non può mai dire «tanto ormai sono già formato, tanto io lo so già, sono le solite cose ».

Quando alla fine dell’anno ognuno deve fare il quadro, occorre farsi avanti se si ha il coraggio di adempiere a quello che si sta vivendo nella propria fede, quindi non bisogna aver paura di esporsi e di lasciarsi mandare.

Attenzione a queste parole: « Da noi si è sempre fatto così, tanto qui le cose vanno in questo modo ». Ecco, l’importante è camminare insieme. Anche perché, quando sei dentro una situazione spesso non hai la libertà di guardare con oggettività, per cui il seminarista che viene da fuori magari dice: « Ma non ti accorgi di questo? », perché lui viene da fuori, ha uno sguardo diverso su quello che c’è dentro. Tante volte anche all’educatore della parrocchia fa bene uscire, prendere una boccata d’aria, vedere come gira il mondo, capire che tutto il mondo non è Verghera. Questo respiro fuori della parrocchia si chiama decanato, si chiama diocesi, per cui se il progetto del Vescovo è quello di una Chiesa costruita così, questa deve essere la mia idea di Chiesa che poi si declina a Verghera.

Quando uno dice: «No, basta, non faccio più catechismo, non faccio più l’educatore », che cosa sta dicendo? Che ha occupato il posto e adesso lo libera, oppure ha a cuore un servizio e dice: « Io adesso capisco di non essere più in grado, non ho più tempo, non ho più energia». Che cosa mi fa decidere di lasciare? Mi sono preoccupato che ci siano altri che possano prendere il mio posto? O sono sempre io a decidere con le mie voglie, i miei capricci, legittimi, i miei disegni, legittimi. « Occupo un posto; adesso basta, lo libero; si arrangino ». Oppure: « Ho fatto un servizio, un servizio importante, annunciare il Vangelo ai ragazzi; adesso mi preoccupo che altri lo possano condividere, che altri possano continuare questo servizio ».

Infine due “asterischi” molto semplici, che però possono aiutarvi; voi educatori dovete imparare ad avere questo due attenzioni.

L’attenzione agli elenchi. Non so come facciate ad organizzare catechismo voi: si va all’anagrafe parrocchiale o del comune e si dice: « Prendiamo questi ragazzi, di prima media », e si spedisce la lettera; Oppure si sa che vengono a catechismo. Ecco, questi elenchi, fatti all’inizio dell’anno, teneteli presenti: ci sono ancora quei ragazzi, perché quelli che vengono a catechismo non sono tutti quelli che esistono. Ricordiamoci che siamo in minoranza, noi appartenenti alla Chiesa, ormai; non possiamo dire che siamo in tempo di missione e poi far finta che tutto il mondo sia quello che viene all’oratorio. Questo vale anche per gli adolescenti e i giovani. Ogni tanto abbiate il coraggio di guardare e dire « Okay, io a questi ragazzi propongo il catechismo, e a questi altri? ». Come posso arrivare, se manca la modalità, se sono quelli che vengono soltanto alla messa, soltanto a catechismo, soltanto alla squadra di calcio; e poi, non posso lanciare delle iniziative per cui altri possono entrare in contatto?

L’agenda dei compleanni: è importante che ciascuno di voi segni il compleanno dei propri ragazzi. Il giorno del compleanno, per un ragazzo, è importante, e capire, sapere che il proprio educatore si rende presente – perché telefona, manda un bigliettino – fa maledettamente bene ai ragazzi.

Io ho fatto un’estate durante la quale gli adolescenti di Solbiate mi hanno fatto impazzire perché sono una genia di disgraziati. Sono venuto a casa, dopo aver sbraitato senza ottenere niente, ho preso un pacco di cartoline, e mi sono messo a scrivere a ciascuno, inventando una frase. Be’, ha ottenuto di più una cartolina così che io sbraitando per due mesi. Infatti tornando mi hanno detto: «Ah, grazie, don, la cartolina», e abbiamo cominciato a parlare. Urlando per due mesi, niente.

Aver cura dei rapporti personali, ovvero entrare nella vita personale dei ragazzi, soprattutto quando diventano un pochino grandi. Non pretendete che da un incontro di catechismo cambi la vita, ma se un ragazzo intuisce che tu sei suo alleato nei momenti belli della sua vita - e ci sono anche dei momenti brutti nella vita di un ragazzo - se tu ti fai presente, ti prendi cura, non fai il catechista e l’educatore della parrocchia, ma diventi il suo catechista, il suo educatore, il suo compagno di viaggio; in questo modo si aprono orizzonti sempre nuovi.

A questo punto volevo leggervi e concludere con una bella pagina di “Educare ancora”, che l’Arcivescovo cita da un discorso del Vicario Generale che era allora mons. Corti, l’attuale Vescovo di Novara:

« Vogliamo fare un oratorio che tenga conto della situazione attuale dei ragazzi; bisognerà che l’oratorio realizzi in mille maniere un’attenzione straordinaria per questa età (parla dei ragazzi del dopo cresima) che è poi l’età che coincide con la cresima. Noi li dobbiamo considerare a uno a uno, questi ragazzi, e dobbiamo dire: in questo momento fare l’oratorio vuol dire che la parrocchia garantisce a questi ragazzi e a queste ragazze, anzi, a ciascuno di loro, di avere un punto di riferimento personale, che non si dimentichi di nessuno di loro; per cui, se un ragazzo non si vede, qualcuno sa perché, qualcuno va a vedere, parla con i genitori, parla con il ragazzo, che si sente dunque interpellato, seguito, amato, capito, sostenuto, magari anche richiamato, accolto, incoraggiato, mai anonimo ».